La Cassazione sulla possibilità di procedere all’imputazione coatta dell’impresa sotto indagine.

di  Federica  Zazzaro, Dottoranda di ricerca in Diritto penale

 

 

 

1. Introduzione.

Con la sentenza del 15 ottobre 2024, n. 37751 la Quarta Sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sul tema relativo al potere del Gip, in sede di procedimento a carico della persona giuridica, di ordinare l’imputazione coatta nei confronti della società, e ha disposto che nei confronti della richiesta di archiviazione emessa dal PM, ex art. 58 d.lgs. n. 231/2001, il Gip non ha alcun potere decisionale, essendo il decreto di archiviazione sottoposto esclusivamente ad una verifica da parte del Procuratore generale della Corte d’appello.

 

Come noto, nell’ambito del procedimento instaurato nei confronti delle persone fisiche, il codice di procedura penale prevede, agli artt. 408 ss. c.p.p., una dettagliata disciplina circa i poteri del giudice delle indagini preliminari esercitabili sul decreto emesso dal PM. In particolare, all’art. 409 co. 5 c.p.p. è previsto che, se non accoglie la richiesta di archiviazione del PM, il giudice può disporre con un’ordinanza l’imputazione coatta.

 

Quanto, invece, alla disciplina processuale applicabile in sede di responsabilità da reato degli enti, il d.lgs. n. 231/2001 all’art. 34 prevede che per il procedimento relativo agli illeciti amministrativi dipendenti da reato, si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura penale e del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.

 

Al contempo, però, in relazione al procedimento di archiviazione il “decreto 231” detta una disciplina specifica all’art. 58 d.lgs. n. 231/2001, ove dispone che se non si procede alla contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’art. 59, il PM emette decreto motivato di archiviazione degli atti, comunicandolo al Procuratore generale presso la Corte d’appello, il quale può svolgere gli accertamenti indispensabili e, qualora ritenga ne ricorrano le condizioni, contesta all’ente le violazioni amministrative conseguenti al reato entro sei mesi dalla comunicazione.

 

Il dibattito sollevato in questa sede rientra nella più ampia questione circa l’applicabilità e la compatibilità delle disposizioni del codice di procedura penale al procedimento a carico delle persone giuridiche ed assume rilevanza per le sue implicazioni pratico-applicative in sede di accertamento della responsabilità da reato dell’ente, dal momento che l’eventuale difformità procedurale in merito ai poteri del Gip di sindacare sul decreto di archiviazione emesso dal PM potrebbe avere delle ripercussioni significative sul procedimento a carico della persona giuridica.

 

Sebbene il tema è stato più volte oggetto di riflessioni nella letteratura penalistica, al contrario, nella giurisprudenza di legittimità non si era registrata alcuna pronuncia sul punto.

Pertanto, in questa sede, dopo aver ricostruito le principali tappe della vicenda processuale, si delineerà la posizione della Cassazione sul punto.

 

 

 

2. Il caso oggetto di giudizio

La vicenda aveva ad oggetto un episodio di lesioni colpose, aggravata dalla violazione della normativa antinfortunistica, contestato in capo al datore di lavoro, al dirigente, al medico competente nonché alla società cooperativa, quale soggetto responsabile dell’illecito amministrativo di cui agli artt. 25 septies, co. 3, 6 e 7 del d. lgs. n. 231/2001, in relazione al delitto di cui all’art. 590, co. 3, c.p. commesso dalle indicate persone fisiche nel suo interesse o vantaggio.

 

In relazione a tale contestazione, con un unico provvedimento il PM disponeva l’archiviazione del procedimento nei confronti dell’ente, ex art. 58 d. lgs. n. 231/2001, e chiedeva contestualmente al Gip l’archiviazione nei confronti delle persone fisiche, ai sensi dell’art. 408 c.p.p.

 

A seguito di opposizione da parte della persona offesa, il Gip del Tribunale di Savona ordinava l’imputazione coatta non solo nei confronti delle persone fisiche del datore di lavoro, dirigente e delegato dal datore di lavoro e medico competente, in relazione al reato di cui all’art. 590, co. 3 c.p., ma, altresì, nei confronti dell’ente responsabile dell’illecito amministrativo, di cui agli artt. 25-septies, co. 3, 6 e 7 del d. lgs. n. 231 del 2001.

 

Avverso tale decisione proponeva ricorso per Cassazione la società cooperativa, lamentando l’abnormità del provvedimento di imputazione coatta del Gip nel punto in cui era coinvolta anche la società.

 

Tenuto conto della specialità del sistema 231, il procedimento avrebbe dovuto seguire la disciplina di cui all’art. 58, prevedendo quindi che l’archiviazione del PM fosse sottoposta solo ad una verifica ex post del Procuratore generale della Corte di appello, il quale può, svolte le indagini, entro il termine di sei mesi, effettuare la contestazione.

 

In via ulteriore, la difesa della società ricorrente sosteneva che il provvedimento emesso dal Gip violava, altresì, il principio del ne bis in idem, essendo stata la posizione della società già sottoposta al vaglio del PM emittente il decreto di archiviazione e del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello.

 

Al contrario, ad avviso della persona offesa, l’accertamento del reato della persona fisica e quello dell’illecito amministrativo della persona giuridica dovrebbero «viaggiare su binari paralleli, pena la tenuta dell’intero sistema». In tal senso, la decisione del Gip di opporsi al decreto di archiviazione del procedimento a carico delle persone fisiche dovrebbe riverberare i suoi effetti anche sul procedimento a carico dell’ente, con conseguente possibilità del PM di archiviare la posizione della società solo ove si fondi su cause diverse rispetto a quelle riconnesse al reato-presupposto (come, ad esempio, l’archiviazione a seguito di accertamento dell’idoneità del modello organizzativo o l’estinzione per prescrizione dell’illecito addebitabile alla società).

 

 

 

 

3. La decisione della Corte nel caso di specie

La Corte di Cassazione, nel ritenere fondato il ricorso presentato dalla società contro il provvedimento di imputazione coatta del Gip, ha colto l’occasione per delineare la disciplina applicabile in sede di procedimento nei confronti delle persone giuridiche.

 

Il d.lgs. n. 231/2001, sebbene all’art. 34 preveda l’applicabilità delle disposizioni del codice di procedura penale, laddove compatibili, al procedimento a carico delle persone giuridiche, detta una disciplina specifica all’art. 58 d.lgs. n. 231/2001 per ciò che concerne il procedimento di archiviazione relativo agli illeciti amministrativi dipendenti da reato.

 

Pertanto, l’interrogativo su cui ruotava l’intera pronuncia è se al procedimento a carico delle persone giuridiche siano applicabili le disposizioni del codice di procedura penale per le persone fisiche relative al procedimento di archiviazione e di imputazione coatta, di cui agli artt. 408 ss. c.p.p. o se, al contrario, si debba considerare il procedimento a carico degli enti quale modello semplificato e autonomo rispetto a quello nei confronti delle persone fisiche.

 

In via subordinata, si poneva la questione circa la possibilità di considerare i due procedimenti a carico delle persone fisiche e delle persone giuridiche paralleli e connessi, al punto tale che gli effetti del primo ricadono necessariamente sul secondo.

 

Se si optasse per un’interconnessione tra i due procedimenti, come peraltro sostenuto dalla difesa della persona offesa nel caso di specie, l’eventuale ordinanza di imputazione coatta a carico delle persone fisiche dovrebbe riverberare i suoi effetti sul procedimento a carico della persona giuridica, «rendendo praticamente impossibile» per il PM archiviare l’illecito amministrativo per cause che riguardano il reato presupposto.

 

Al contrario, ove si considerassero i due procedimenti distinti e separati, posizione sostenuta dalla difesa della società ricorrente, ne deriverebbe un’autonomia di giudizio con conseguente validità del decreto di archiviazione nei confronti dell’ente, emesso dal PM e successivamente sottoposto alla verifica demandata dalla legge al Procuratore generale della Corte di appello.

 

Sollevati tali interrogativi, la Corte ha disposto a favore dell’applicabilità al caso concreto del procedimento previsto dal d.lgs. n. 231/2001, ritenendo che la disciplina applicabile alle persone giuridiche sia da ritenere più snella e celere rispetto a quella prevista nel procedimento a carico delle persone fisiche.

 

Difatti, l’art. 58 d.lgs. n. 231/2001 detta una disciplina ben specifica, prevedendo che sia il PM ad esercitare il potere di archiviazione diretta, senza alcuna possibilità per il Gip di interferire su tale decisione. L’unica valutazione prevista è un controllo gerarchico da parte del Procuratore Generale, il quale ha la facoltà di svolgere eventualmente indagini suppletive, laddove lo ritiene indispensabile, nonché di elevare la contestazione laddove ipoteticamente sussistente l’illecito.

 

La ratio alla base di tale asimmetria legislativa si rinviene nella peculiare natura della responsabilità dell’ente, che seppur accertata nella cornice del processo penale, non è pienamente assimilabile a quella dell’imputato persona fisica.

 

D’altro canto, la Relazione al d.lgs. n. 231/2001 evidenzia che l’adozione di un procedimento semplificato – in cui l’eventuale inazione del PM non necessita di alcun controllo giurisdizionale né tantomeno dell’intervento della persona offesa – trova la sua giustificazione nella qualifica amministrativa della responsabilità dell’ente.

 

Neppure sembra condivisibile l’obiezione esposta dalla difesa circa la presunta lesione del principio di obbligatorietà dell’azione penale enunciato dall’art. 112 Cost. L’esercizio del potere di archiviazione del PM è ancorato a parametri legali, tra cui la soggezione all’obbligo di motivare la propria decisione, sicché non può parlarsi di alcuna violazione di suddetto principio.

 

Quanto poi alla possibilità che la riapertura del procedimento a carico delle persone fisiche possa avere implicazioni negative sul decreto di archiviazione nei confronti della persona giuridica, la Corte ha ribadito che essendo i due procedimenti distinti e separati, non è prevista alcuna riapertura obbligatoria delle indagini nei confronti dell’ente. Ciò non toglie che la pubblica accusa possa revocare la decisione di archiviazione con apposito provvedimento, a seguito di una sollecitazione dell’interessato o d’ufficio, o anche a seguito di provvedimento di imputazione coatta del Gip nei confronti delle persone fisiche.

 

Pertanto, la Suprema Corte conclude ritenendo abnorme il provvedimento impugnato nella misura in cui aveva obbligato il PM a formulare l’imputazione nei confronti della società e disponendo l’annullamento senza rinvio.

 

 

 

 

 

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