La Corte di Cassazione sul rapporto tra confisca e sentenza di patteggiamento nel processo contra societatem.

di  Federica  Zazzaro, Dottoranda di ricerca in Diritto penale

 

 

 

1. Profili introduttivi.

Con la recente sentenza del 25 luglio 2024, n. 30604 la Sesta Sezione della Corte di Cassazione è tornata sul tema della portata della confisca nell’ambito di un procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti, ex art. 63 d.lgs. n. 231/2001.

 

Sul punto, mentre con riferimento al procedimento a carico dell’imputato persona fisica la Cassazione ha ritenuto che il giudice debba sempre applicare la sanzione della confisca del profitto del reato presupposto, essendo irrilevante che la stessa non sia stata oggetto dell’accordo intervenuto tra le parti in sede di patteggiamento (in tal senso, si richiamano in sentenza Sez. 3, n. 44446 del 9/10/2013, Cruciani; Sez. 3, n. 6047 del 27/9/2016, dep.2017, Zaini), in relazione al procedimento a carico dell’ente, la S.C. sembrerebbe non aver adottato una soluzione univoca.

 

La questio iuris circa la compatibilità della confisca con il procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti nel sistema 231 origina dal fatto che l’art. 19 d.lgs. n. 231/2001, nel prevedere l’obbligatorietà della confisca del prezzo o del profitto del reato, fa riferimento esclusivamente alla sentenza di condanna, non operando, invece, alcun richiamo alla sentenza di patteggiamento.

In dottrina e in giurisprudenza ci si interroga, pertanto, sull’applicabilità di tale misura ablatoria anche nelle ipotesi di accordo delle parti, attraverso l’equiparazione della sentenza di applicazione della pena a quella di condanna.

Ad accrescere il contrasto ermeneutico è, altresì, l’art. 63 d.lgs. 231/2001, il quale nel disciplinare l’applicazione della sanzione su richiesta delle parti e, nello specifico, la riduzione premiale per la scelta del rito, menziona esclusivamente le sanzioni pecuniaria e interdittiva e nulla dispone, invece, per ciò che concerne la confisca.

 

Nelle varie pronunce di legittimità la Cassazione sembrerebbe aver accolto quasi sempre una soluzione ermeneutica estensiva, da un lato, equiparando la sentenza di applicazione della pena e quella di condanna e confermando l’applicabilità della misura anche in caso di patteggiamento, e, dall’altro lato, ribadendone l’obbligatorietà e ritenendo che «debba essere disposta anche nel caso in cui non sia preventivamente entrata nell’accordo delle parti» (per un commento alla sentenza della Cass. pen., Sez. VI, 11 maggio 2022, n. 18652, si rinvia a questo post).

 

Tale impostazione, che sembrava essersi consolidata nel tempo, ha ricevuto, al contrario, una battuta di arresto con la sentenza odierna. Dopo aver confermato in via preliminare l’obbligatorietà della confisca del profitto del reato, di cui agli artt. 9 e 19 d.lgs. 231/2001, la Suprema Corte si pronuncia sulla possibilità di definire l’an e il quantum della misura in sede di patteggiamento, ritenendo che ai fini della validità dell’accordo, le parti debbano necessariamente accordarsi anche su tale sanzione, escludendone l’applicazione solo nei casi in cui l’illecito non ha prodotto alcun profitto per l’ente. Laddove invece l’accordo non riguardi anche la confisca, questa non potrà essere disposta d’ufficio, e il giudice dovrà pertanto rigettare la richiesta di applicazione concordata della pena.

 

 

2. La vicenda giudiziaria.

 

Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte trae origine dall’emissione della sentenza di applicazione della pena, in relazione all’illecito amministrativo previsto dall’art. 24 d.lgs. n. 231/2001, conseguente al reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche, ex art. 316 ter c.p., commesso dal legale rappresentante dell’ente imputato. Nel dettaglio, la società, accedendo al fondo di garanzia per le PMI, aveva indebitamente utilizzato il finanziamento pubblico di euro 30.000 per l’acquisto di un immobile, invece che per il pagamento di fornitori e dipendenti, così come previsto dalla normativa emergenziale introdotta dal D.L. n. 23/2020.

Da qui, si era giunti ad un accordo tra il pubblico ministero e l’ente avente ad oggetto esclusivamente la sanzione pecuniaria, determinata nel quantum e successivamente ridotta, senza invece quantificare il profitto confiscabile.

Il Giudice dell’udienza preliminare, nel recepire l’accordo sulla pena, disponeva unilateralmente la confisca del profitto, ex art. 19 d.lgs. n. 231/2001, quantificandola in un importo corrispondente alla somma del finanziamento.

Nel ricorso avverso tale sentenza, la società lamentava l’errata quantificazione del profitto dell’illecito, dal momento che l’importo del finanziamento costituiva per il beneficiario un debito e non un profitto e che, quindi, la sua confisca avrebbe comportato erroneamente una duplicazione di pagamento in capo alla società, continuando a persistere l’obbligo di restituzione nei confronti dell’istituto mutuante.

 

 

 

3. Le elaborazioni dottrinali sul rapporto tra il patteggiamento e la confisca nella ricostruzione della Corte.

La Corte, nel ritenere fondato il ricorso, coglie l’occasione per affrontare la questione della compatibilità della confisca del profitto dell’illecito con la sentenza di applicazione della sanzione su richiesta delle parti, ex art. 63 d.lgs. n. 231/2001.

In primo luogo, la S.C. parte da un’affermazione di principio di indubbia certezza. La confisca del prezzo o profitto dell’illecito amministrativo, come può desumersi dall’art. 9 d.lgs. n. 231/2001, a differenza di quella prevista nel codice penale, si configura quale «sanzione principale, obbligatoria ed autonoma».

 

Ciò detto, la Corte affronta il tema del rapporto tra la confisca e l’applicazione della pena su richiesta, di cui all’art. 63 d.lgs. n. 231/2001, ripercorrendo i principali orientamenti dottrinali sviluppatisi.

Secondo una prima impostazione più restrittiva, è esclusa la possibilità di applicare la confisca in caso di decisione concordata dalle parti. In altre parole, in caso di patteggiamento, la confisca non troverebbe alcuna applicazione poiché, da un lato, l’art. 63 d.lgs. n. 231/2001 nel prevedere la riduzione premiale per la scelta del rito fa riferimento esclusivamente alle sanzioni pecuniarie e interdittive e, dall’altro lato, la confisca, ai sensi dell’art. 19 d.lgs. n. 231/2001, può essere emessa solo a seguito di sentenza di condanna, non equiparabile di per sé alla sentenza di applicazione della pena.

 

In senso contrario, invece, si pone l’orientamento – peraltro avallato dalla giurisprudenza maggioritaria – che esalta il carattere obbligatorio della confisca e l’equiparabilità della sentenza di condanna a quella di patteggiamento, e che dunque ritiene che la confisca debba essere determinata dal giudice in sede di epilogo patteggiato, trattandosi di un elemento che non può essere negoziato dalle parti.

Tale impostazione si fonda sul richiamo che l’art. 63, co. 1, d.lgs. n. 231/2001 fa alle disposizioni normative processualistiche di cui agli artt. 444 ss., ove l’integrale operatività della confisca nel rito speciale a carico della persona fisica e l’equiparazione degli effetti della sentenza di condanna a quella di patteggiamento portano a ritenere che anche nei confronti degli enti operi la medesima disciplina. Un argomento che risulterebbe confermato dal fatto che, in materia di responsabilità da reato dell’ente, è consolidata la posizione secondo cui la confisca assume carattere obbligatorio e indefettibile, per cui ritenerne preclusa l’applicazione in caso di patteggiamento radicherebbe una disparità di trattamento tra la persona giuridica e la persona fisica.

 

Da ultimo, la S.C. evidenzia come si sia sviluppato un orientamento intermedio, fatto proprio dalla pronuncia in esame, secondo cui la confisca, data la sua natura di sanzione principale, deve necessariamente essere inclusa nell’accordo tra le parti, salva restando la possibilità per il giudice di rigettare in toto l’accordo.

 

 

 

4. La pronuncia della Corte. Obbligatorietà e negoziabilità della misura ablatoria nel sistema 231.

L’oggetto della pronuncia odierna, dunque, concerne la possibilità per le parti di negoziare la confisca in sede di patteggiamento. La S.C., pur riconoscendo la compatibilità tra la confisca e l’accordo sulla pena, ritiene di non poter aderire alla posizione giurisprudenziale precedentemente adottata, secondo cui debba essere sempre il giudice a prevedere la misura ablativa, a prescindere dall’inclusione o meno di essa nell’accordo tra le parti.

 

Al contrario, la Corte adotta una lettura sistematica della disciplina della responsabilità degli enti, e, in particolare, del sistema sanzionatorio previsto dal d.lgs. n. 231/2001, disponendo che l’applicazione della sanzione su richiesta delle parti «deve necessariamente aver riguardo a tutte le tipologie di pena in concreto irrogabili in relazione all’illecito oggetto di patteggiamento, non ravvisandosi ragioni di ordine giuridico per escludere la sola confisca dall’accordo tra le parti».

Pertanto, la confisca ai sensi degli artt. 9 e 19 d.lgs. n 231/2001, data la sua natura obbligatoria, sia essa diretta o per equivalente, dovrà sempre rientrare nell’oggetto dell’accordo, lasciando al giudice la possibilità di accogliere o di rigettare in toto l’istanza.

 

Secondo la Corte, tale soluzione trova il suo fondamento nel sistema punitivo di cui al d.lgs. n. 231/2001 e, in particolare, nella stessa rubrica dell’art. 63 del decreto, che nel richiamare le sanzioni non fa alcuna distinzione tra le varie tipologie applicabili. Perciò, non sembrerebbe ragionevole includere nella scelta del rito solo le sanzioni pecuniarie e interdittive.

Una tale impostazione non troverebbe alcuna obiezione nel secondo comma dell’art. 63 d.lgs. n. 231/2001, nella parte in cui non viene menzionato l’istituto della confisca tra le sanzioni oggetto della riduzione premiale di cui all’art. 444 c.p.p. La ratio alla base dell’esclusione di cui all’art. 63 co. 2, infatti, risiederebbe nella circostanza per cui la confisca, avendo la finalità di privare l’ente del profitto illecito, non potrebbe essere oggetto di riduzione.

 

In via ulteriore, una possibile obiezione che potrebbe sollevarsi risiede nel carattere obbligatorio della confisca e nella tesi secondo cui quest’ultima debba essere determinata esclusivamente dal giudice, sicché anche nelle ipotesi di accordo tra le parti l’organo giudicante non sarà vincolato al rispetto del quantum stabilito nell’accordo, né tantomeno il rigetto della misura concordata potrà pregiudicare l’accoglimento del rito alternativo.

Sul punto, seguendo il ragionamento esposto dalla Corte, non si dovrebbe confondere il requisito di obbligatorietà da quello di negoziabilità.

Al pari di tutte le sanzioni anche la confisca è obbligatoria; tuttavia, ciò non impedisce che le parti possano prevedere un accordo su di essa. Nondimeno, sarà fondamentale rispettare i criteri di commisurazione previsti per la confisca – l’entità del prezzo o del profitto derivante dall’illecito – parametri che non lasciano molto spazio alla discrezionalità delle parti, ma che comunque permettono di valutare tutta una serie di elementi nella determinazione del profitto dell’illecito.

 

Sicché il giudice, una volta ricevuto l’accordo delle parti, dovrà valutare innanzitutto la corrispondenza della confisca derivante dall’accordo al profitto effettivamente conseguito, come previsto dall’art. 19, co. 1, d.lgs. n. 231/2001, al netto delle restituzioni poste in essere dal reo in favore della vittima.

Pertanto, nel caso di specie, la S.C. annulla senza rinvio la sentenza, ritenendo che l’accordo sulla pena conclusosi senza la determinazione della confisca non è di per sè valido.

 

 

5. Conclusioni.

La pronuncia in esame è di particolare interesse, perché affronta il tema della confisca nell’ambito del patteggiamento nel sistema 231, da un lato, confermando il carattere tipico di obbligatorietà di tale misura ablativa, dall’altro lato, accogliendo una posizione difforme rispetto all’orientamento giurisprudenziale precedente sul tema della sua negoziabilità.

Quanto al primo profilo, concernente l’obbligatorietà della confisca, la S.C., richiamando quanto già espresso in precedenti pronunce, coglie l’occasione per delineare il significato attribuibile a tale requisito. In particolare, ciò non sta ad indicare che il giudice sia l’unico titolare del potere di determinazione dell’an e del quantum della misura ablativa, quanto piuttosto evidenzia il carattere essenziale che la confisca riveste nel sistema sanzionatorio 231, al pari delle altre sanzioni applicabili.

Quanto al secondo profilo, invece, la S.C. enuncia il principio di diritto secondo cui la confisca, rientrando nel novero delle sanzioni principali a carico dell’ente, non può essere esclusa dall’ambito di definizione dell’accordo tra le parti, sicché l’eventuale omessa definizione concordata di tale sanzione farebbe venire meno in toto l’accordo. D’altro canto, l’applicazione della sanzione su richiesta delle parti, ex art. 63 d.lgs. n. 231/2001, è idonea a coprire l’intero trattamento sanzionatorio, non consentendo un’applicazione solo parziale di alcune sanzioni.

Resta ferma, in ogni caso, la possibilità da parte del giudice di valutare attentamente la determinazione del profitto confiscabile, secondo i dettami dell’elaborazione giurisprudenziale (Sez. U, n. 26654 del 27/3/2008, Fisia Impianti s.p.a).

 

 

 

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