I recenti casi di amministrazione giudiziaria nella fashion industry
di Andrea Pellegrini, Dottorando di ricerca in Diritto penale
1. Premessa
Il Tribunale di Milano ha recentemente applicato la misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria nei confronti di tre importanti società operanti nel settore dell’alta moda (Trib. Milano, sez. aut. mis. prev., decr. 15 gennaio 2024, n. 1; Trib. Milano, sez. aut. mis. prev., decr. 3 aprile 2024, n. 10; Trib. Milano, sez. aut. mis. prev., decr. 5 giugno 2024, n. 12) per aver colposamente agevolato l’attività dei titolari e amministratori di imprese subappaltatrici, sottoposti a procedimento penale per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603 bis c.p.).
Dalle indagini del Nucleo Ispettorato del Lavoro del Comando dei Carabinieri di Milano, è emerso infatti che tali società erano “beneficiarie” ultime di uno schema di sfruttamento lavorativo, tipicamente così strutturato:
- i brand di alta moda stipulavano contratti di appalto con società terze a cui esternalizzavano completamente i processi produttivi;
- le imprese appaltatrici, non potendo contare su una adeguata capacità produttiva, a loro volta subappaltavano la fabbricazione dei prodotti ad opifici che ricorrevano a manodopera in condizioni di marcato sfruttamento, garantendo così una notevole riduzione dei costi di produzione e, di conseguenza, una sensibile alterazione della concorrenza.
Del resto, è ormai noto come il fenomeno dello sfruttamento del lavoro non si radichi più solamente in alcuni settori e territori economicamente fragili, bensì attraversi tutto il Paese, pervadendo in varie forme, oltre ai settori dell’agricoltura e dell’edilizia, anche quello manifatturiero. Tant’è vero che, secondo gli inquirenti, questo fenomeno illecito si traduceva in una collaudata prassi pienamente integrata nella filiera di produzione delle imprese della fashion industry coinvolte.
Per questo motivo, la Procura della Repubblica di Milano ha richiesto di sottoporre tali società ad amministrazione giudiziaria, reputando quest’ultima l’unica misura capace di interrompere il processo di decoupling organizzativo riscontrato e di rimodulare i rapporti con i fornitori.
2. I presupposti applicativi dell’amministrazione giudiziaria
Il Tribunale di Milano ha anzitutto ritenuto che le condotte compiute dai titolari delle imprese individuali e dagli amministratori di fatto e di diritto delle società che gestivano gli opifici integrassero gli estremi del delitto previsto dall’art. 603 bis c.p.
Infatti, secondo quanto risulta dai decreti in esame, i giudici milanesi hanno riscontrato molteplici indici di sfruttamento ex art. 603 bis c.p. per tutti i laboratori ispezionati, in quanto i lavoratori, parte dei quali non regolarmente assunti e clandestini:
- percepivano una retribuzione inferiore (anche fino al 50%) rispetto ai minimi tabellari previsti dai contratti collettivi nazionali di settore;
- svolgevano abitualmente le loro mansioni oltre l’orario stabilito per contratto (ove stipulato) e, più in generale, consentito, anche in fascia oraria notturna e nei giorni festivi;
- non disponevano di dispositivi di protezione individuale;
- non venivano sottoposti ad alcuna visita medica di idoneità alla mansione;
- non ricevevano informazioni circa i rischi lavorativi e formazione in materia di salute e sicurezza;
- operavano nei pressi di contenitori di sostanze chimiche non correttamente custoditi per prevenire il rischio di contaminazioni o incendio;
- utilizzavano macchinari privi degli appositi dispositivi di sicurezza, rimossi per aumentarne la capacità produttiva a scapito della loro incolumità;
- per essere praticamente sempre a disposizione del datore di lavoro, alloggiavano negli opifici o in stabili adiacenti all’interno di strutture abitative abusive e degradate, nonché pericolose per la loro salute e sicurezza.
Inoltre, è stato ravvisato anche l’approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori, richiesto per la configurazione del delitto di cui all’art. 603 bis c.p., trattandosi perlopiù di soggetti di nazionalità cinese o provenienti da Paesi extracomunitari, talvolta clandestini, che – in quanto tali – sovente incontrano difficoltà nel rendersi indipendenti ed inserirsi nella società e, quindi, sono spinti a tollerare condizioni di lavoro decisamente sfavorevoli.
A partire da questo presupposto, il Tribunale meneghino ha poi rilevato sufficienti indizi per ritenere che i tre brand di alta moda abbiano colposamente agevolato l’attività dei titolari delle imprese individuali e dagli amministratori che gestivano gli opifici, sottoposti ad indagine per il reato previsto dall’art. 603 bis c.p.
D’altronde, secondo la giurisprudenza, tale requisito sussiste anche se l’impresa terza non abbia esercitato un’attività economica con modalità illecite, bastando che essa abbia procurato uno stabile contributo agevolatore, quale conseguenza di una condotta negligente, imperita o imprudente, all’attività di persone rientranti nelle categorie indicate all’art. 34 (comma 1) d.lgs. 159/2011.
Nei casi di interesse per questo approfondimento, in particolare, è stato ritenuto che l’agevolazione sia consistita nell’avvalersi continuativamente – nonostante i divieti di subappalto stabiliti in alcuni contratti con le società appaltatrici – dell’opera di soggetti dediti allo sfruttamento lavorativo.
Ciò è stato possibile, secondo i giudici milanesi, in quanto le imprese della fashion industry non hanno adeguatamente verificato la reale capacità imprenditoriale e le modalità di produzione delle società appaltatrici, a causa di proprie carenze organizzative (mancanza o inidoneità del modello di organizzazione, gestione e controllo ex d.lgs. 231/2001) e di audit assenti o rari, ma comunque meramente formali e, perciò, tali da non permettere di verificare, a seconda dei casi, la mancanza dei reparti di produzione o le concrete capacità e condizioni degli stessi e dei lavoratori impiegati al loro interno.
Di conseguenza, ferma l’assenza delle condizioni per l’applicazione del sequestro e confisca di prevenzione, il Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria nei confronti delle tre società del comparto moda per un periodo di un anno.
3. I contenuti dell’amministrazione giudiziaria
Una volta accertati i requisiti applicativi dell’amministrazione giudiziaria, il Tribunale di Milano ha definito i contenuti della misura di prevenzione in conformità ad un criterio di proporzionalità, ossia modellandoli su misura in base al concreto livello di infiltrazione criminale, al settore societario colpito e alle dimensioni dell’impresa, tenuto conto dell’esigenza di garantire la continuità aziendale e i livelli occupazionali.
In questo senso, per tutti i brand di alta moda coinvolti, l’amministrazione giudiziaria non si è tradotta nell’integrale spossessamento della gestione societaria, bensì è stata limitata ai soli rapporti con ifornitori, lasciando così l’ordinario esercizio dell’attività d’impresa in capo all’organo amministrativo.
La piena operatività, le notevoli dimensioni e la leadership nel settore di tali imprese sono stati i fattori che hanno guidato i giudici milanesi nella scelta di contenere l’ampiezza dell’amministrazione giudiziaria.
Si tratta invero di una decisione che trova fondamento nell’art. 34 (comma 3) d.lgs. 159/2011, posto che la disposizione recita che “l’amministratore giudiziario può esercitare i poteri spettanti agli organi di amministrazione e agli altri organi sociali secondo le modalità stabilite dal tribunale”, prevedendo quindi un’estensione facoltativa e non obbligatoria del raggio d’azione dell’amministratore giudiziario.
Nei tre decreti in commento, il Tribunale meneghino ha sempre disposto che l’amministratore giudiziario svolgesse le seguenti attività:
- esaminare il modello di organizzazione, gestione e controllo ex d.lgs. 231/2001 per valutarne l’idoneità a prevenire il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro nei rapporti con i fornitori;
- analizzare i provvedimenti adottati dalla società sottoposta alla misura in relazione alla composizionedegli organi amministrativi e di vigilanza interna;
- approfondire le eventuali modifiche alla politica contrattuale adottata nei confronti dei fornitori;
- garantire assidua presenza nell’impresa assoggettata ad amministrazione giudiziaria e mantenere rapporti stabili con gli apicali della stessa rispetto alle questioni inerenti all’oggetto della misura;
- verificare tutti i contratti pendenti con i fornitori, al fine di monitorare il rispetto delle regole abitualmente adottate dal settore legale di mercato in relazione all’oggetto della misura e segnalare, qualora siano rilevate, potenziali situazioni simili a quelle che hanno dato luogo all’intervento dell’autorità giudiziaria, autorizzando la risoluzione dei contratti attenzionati e la stipula di nuovi, previo confronto con il Tribunale;
- in generale, valutare se l’applicazione della misura abbia condotto all’approvazione di rimedi utili a prevenire fatti della stessa tipologia di quelli accertati, con particolare attenzione ad un’eventuale rimodulazione degli assetti organizzativi interni per sopperire ai deficit del sistema di internal audit.
D’altro canto, secondo il Tribunale di Milano, nonostante la sua incisività, l’amministrazione giudiziaria è un istituto previsto per scopi preventivi e non repressivi, essendo finalizzata a spezzare i legami tra imprese non completamente compromesse dalla “infiltrazione” delittuosa rilevante ex art. 34 (comma 1) d.lgs. 159/2011 e le realtà criminali da queste agevolate, in modo tale da permetterne, una volta “bonificate”, il loro pieno reinserimento nel libero mercato.
4. Conclusioni
Anche nell’ambito dell’alta moda, quindi, il Tribunale di Milano ha seguito il solco tracciato a partire dai noti casi Ceva Logistics Italia s.r.l. (Trib. Milano, sez. aut. mis. prev., decr. 6 maggio 2019, n. 11) e Uber Italy s.r.l. (Trib. Milano, sez. aut. mis. prev., decr. 27 maggio 2020, n. 9), ossia contrastare lo sfruttamento lavorativo agendo sull’utilizzatore finale della manodopera, a prescindere dal datore di lavoro alle cui dipendenze i lavoratori sono formalmente inquadrati, tramite il ricorso all’amministrazione giudiziaria.
Si tratta di una scelta originale, seppure talvolta fondata su un forzato accertamento del carattere colposo – così come attualmente inteso – dell’agevolazione, che in tali casi si era già dimostrata efficace nel promuovere l’introduzione di presidi interni idonei a prevenire le situazioni previste dall’art. 34 (comma 1) d.lgs. 159/2011, come confermato in entrambi i procedimenti dalla revoca anticipata della misura.
A questo proposito, tuttavia, occorre soffermarsi sul ruolo che la giurisprudenza milanese ha attribuito nell’ambito di tale misura al modello organizzativo ex d.lgs. 231/2001.
Da un lato, l’assenza o l’inidoneità del compliance program è considerata come carenza organizzativa in grado di agevolare colposamente l’attività dei soggetti definiti dall’art. 34 (comma 1) d.lgs. 159/2011, mentre, dall’altro, la costruzione o revisione dello stesso modello, orientata a renderlo idoneo a prevenire il delitto ex art. 603 bis c.p. nei rapporti con i fornitori, costituisce un onere che la società sottoposta ad amministrazione giudiziaria deve soddisfare quale componente fondamentale del remediation plan finalizzato alla revoca della misura.
Com’è stato rilevato, sembra così configurarsi un ampliamento della funzione tipica del modello organizzativo: non più solo strumento finalizzato a prevenire fatti di reato propri dell’ente, in quanto realizzati a suo interesse o vantaggio da soggetti apicali oppure sottoposti alla loro direzione o vigilanza, bensì anche fonte di regole volte a prevenire l’agevolazione di fatti di reato commessi da terzi.
Differenza – quest’ultima – di non poco conto, posto che non solo il legislatore, ma anche la giurisprudenza non ha chiaramente definito fino a che punto dovrebbe estendersi il risk assessment dell’ente rispetto all’attività di soggetti terzi (ad es. le società della filiera produttiva) che esso potrebbe eventualmente agevolare e nemmeno quali rimedi sarebbero concretamente esigibili nei confronti dell’impresa.
Questi, dunque, sono aspetti che necessiteranno di chiarimenti, dati anche gli effetti sul mercato – sempre più animato da consumatori attenti alla reputazione delle società – normalmente prodotti dall’applicazione dell’amministrazione giudiziaria.
Se, da una parte, infatti, il percorso di bonifica aziendale di una impresa sottoposta a tale misura può essere un modello da emulare per i concorrenti, dall’altra, è necessario scongiurare il rischio che le società si spingano verso l’overcompliance, irrigidendo così notevolmente l’attività d’impresa.