La Corte di Cassazione sul dovere motivazionale del periculum in mora nel sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria nei confronti dell’ente.

di  Giuseppe  Natale,  dottorando di ricerca in Diritto penale.

 

 

1. Introduzione.

Con la sentenza nr. 14047 del 5 aprile 2024, la Suprema Corte, in sede cautelare, si è pronunciata sull’applicabilità dei principi delineati della Sezioni Unite Ellade alle ipotesi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria e, in particolare, all’ipotesi speciale prevista dall’art. 53 del d.lgs. n. 231/2001.

 

La Corte, nel ribadire un recente orientamento di legittimità, ha ritenuto di aderire alla tesi positiva. In particolare, si è stabilito che anche nei casi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria è necessario che vi sia una, seppur concisa, motivazione in ordine al periculum in mora, da rapportare alle concrete ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’ablazione rispetto alla definizione del giudizio. Inoltre, si riconosce come il rispetto di tale principio risulti ancor più necessario nei casi in cui tale sequestro sia stato disposto a carico di una società nei confronti della quale si proceda ai sensi del “decreto 231”.

 

Il contrasto ermeneutico nasce dalla circostanza per cui, nella sentenza resa nel caso Ellade (Cass. Pen., Sez. Un., sent. n. 36959/2021), le Sezioni Unite avevano affermato la necessità dell’obbligo motivazionale inerente al periculum in mora esclusivamente con riguardo al sequestro di cui all’art. 321, co. 2, c.p.p. finalizzato alla confisca facoltativa di cui all’art. 240 c.p., specificando, altresì, che l’obbligo di motivazione viene meno nei casi in cui il sequestro attenga alle res la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca di per sé reato (art. 240, comma 2, numero 2, c.p.)

 

Non risultava, dunque, una chiara presa di posizione circa l’applicabilità dell’obbligo motivazionale anche al sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria di cui al comma 2-bis dell’art. 321 c.p.p., né, tantomeno, all’ipotesi speciale di cui agli artt. 53, 9 e 19 d.lgs 231/2001. Nella giurisprudenza di legittimità successiva si erano così affermate due differenti letture del principio riconosciuto dalle Sezioni Unite.

 

Secondo un primo orientamento,  in tutte le ipotesi di confisca obbligatoria non sarebbe necessario motivare in ordine alle ragioni giustificative dell’anticipazione ablatoria. Tale tesi fa leva, in prevalenza, sul differente dato letterale contenuto nei commi 2 e 2-bis dell’art. 321 c.p.p: il primo prevede per il sequestro finalizzato alla confisca “ordinaria” che il giudice «possa» disporlo; il secondo, che riguarda i procedimenti relativi a confische “obbligatorie”, utilizza l’espressione verbale «dispone» il sequestro. Da tale diversità semantica se ne deduce l’obbligatorietà del sequestro e dunque la superfluità di eventuali ragioni che ne giustificano l’adozione.

 

Secondo altro orientamento, che valorizza una lettura sistematica e teleologica del principio, il dovere motivazionale si estenderebbe anche ai sequestri finalizzati alle confische obbligatorie (con l’unica eccezione dei beni intrinsecamente illeciti di cui all’art. 240 c.p. comma 2, numero 2), giacché entrambi gli istituti rispondono alla medesima ratio e vi si applicano medesimi principi. Nello specifico, ciò sarebbe necessario affinché vengano rispettati i principi di presunzione di non colpevolezza e di proporzionalità, i quali sarebbero lesi da eventuali automatismi delle ablazioni cautelari, a prescindere dalla natura obbligatoria o facoltativa della confisca.

 

La sentenza in commento si inserisce all’interno di tale contrasto ermeneutico, risultando, pertanto, di particolare interesse, in special modo per i profili che riverberano sull’applicazione del sequestro preventivo nei confronti dell’ente collettivo.

 

2. La vicenda e l’ordinanza di riesame

Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte trae origine dall’emissione nei confronti di una società di un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto derivante dall’illecito amministrativo di cui all’art. 24 d.lgs. 231/2001, in relazione ai delitti presupposto di indebita percezione di erogazioni, truffa ai danni dello stato e frode nelle pubbliche forniture.

 

Avverso tale decreto la società indagata proponeva riesame e, attraverso idonea documentazione allegata, dava conto della capienza del patrimonio societario, ritenendo quindi l’insussistenza di qualsivoglia rischio, nelle more del procedimento, di sottrazione del profitto per l’eventuale e futura confisca.

 

Ciononostante, il Tribunale del Riesame di Macerata contestava le osservazioni difensive, ritenendo che la capienza patrimoniale della società nulla garantisse rispetto alla eventuale possibilità che il profitto venisse distolto nelle more del procedimento. Inoltre, si osservava che, trattandosi di un’ipotesi di confisca obbligatoria, il relativo sequestro preventivo poteva essere emesso sulla base dell’esclusivo presupposto della confiscabilità del bene, senza alcuna ulteriore specificazione in ordine alle esigenze cautelari che giustificassero l’anticipazione dell’ablazione.

 

L’ordinanza del Tribunale del riesame, che dunque confermava la misura, veniva impugnata dalla società ricorrente, la quale deduceva la violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza in re ipsa delle esigenze cautelari.

In particolare, il ricorrente lamentava che il Tribunale del Riesame non avesse fatto corretto utilizzo dei principi affermati delle Sez. Un. Ellade, avendo ritenuto – sulla scorta di un orientamento di legittimità considerato minoritario (si v. Cass. Pen., sez. VI, sent. n. 12513/2022, Grandis) – che nelle ipotesi di confisca obbligatoria il sequestro preventivo, dovendo essere necessariamente essere disposto, non richiedesse motivazione alcuna in merito alle esigenze cautelari.

 

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, affermando che i principi enucleati dalle Sezioni Unite Ellade vadano applicati a qualsiasi tipologia di sequestro preventivo finalizzato alla confisca e, dunque, anche a quello speciale di cui agli artt. 53, 9 e 19 d.lgs. 231/2001 previsto per l’ente.

 

 

3. Le argomentazioni della Suprema Corte. I principi delle Sezioni Unite quali “statuto generale” del sequestro finalizzato alla confisca e la valorizzazione delle peculiarità della disciplina “231”.

In prima battuta, la S.C. affronta la questione in termini generali, chiarendo la corretta portata interpretativa della sentenza Ellade.

A tal proposito, riprendendo taluni passaggi delle Sezioni Unite, si precisa che la qualificazione formale della confisca come obbligatoria o, invece, facoltativa non rappresenta un valido parametro di differenziazione del regime giuridico del sequestro.

Infatti, tale distinzione appare fondarsi esclusivamente su una scelta di mera politica legislativa. Ciò è confermato dalla circostanza che entrambi gli istituti condividono frequentemente presupposti, caratteristiche e funzioni. La ragione dell’obbligatorietà o meno della confisca riposerebbe, dunque, sulla tipologia di reato al quale il legislatore decide di collegarla e non invece su ragioni di carattere per così dire ontologico.

D’altro canto, per entrambe le figure si porrebbe il medesimo problema dell’ingiustificata apprensione di un bene che, ove il giudizio si definisse favorevolmente, non potrebbe comunque essere soggetto a confisca. Da ciò, dunque, la necessità che venga data, per qualunque tipologia di sequestro finalizzato alla confisca, una congrua motivazione sulle ragioni che ne giustificano l’anticipazione in sede cautelare.

 

Inteso in questi termini, il principio di diritto affermato dalla sentenza Ellade viene interpretato dalla Suprema Corte come uno “statuto generale” del sequestro finalizzato alla confisca, da applicare a qualsivoglia ipotesi, compresa quella del sequestro disciplinato dal d.lgs 231/2001.

Nondimeno, la S.C. ritiene che proprio con riferimento a tale ultimo istituto vi siano ragioni specifiche, ancor più pregnanti, che impongono l’obbligo motivazionale del periculum in mora.

 

Infatti, in tale sottosistema punitivo la confisca è espressamente qualificata quale sanzione (art 9, lett c. e art 19, d.lgs. 231/2001), e dunque il relativo sequestro preventivo si traduce in una vera e propria anticipazione del trattamento sanzionatorio prima che si pervenga all’accertamento definitivo della responsabilità dell’ente indagato. Questa anticipazione, sostiene la Corte, porrebbe il sequestro finalizzato alla confisca sullo stesso piano delle misure cautelari che determinano un’anticipazione della pena, con la conseguente necessità che si dia preciso conto delle ragioni di tale anticipazione.

 

A latere di ciò, i giudici di legittimità giustificano altresì l’esigenza del dovere motivazionale facendo riferimento anche alle incisive conseguenze di carattere economico che il sequestro finalizzato alla confisca produce sull’ente. Tali conseguenze, tra l’altro, possono assumere anche un portato di irreversibilità, come avviene nel caso in cui il vincolo attenga a risorse patrimoniali particolarmente ingenti o ricada direttamente sul compendio aziendale così da determinare la sostanziale impossibilità della prosecuzione dell’attività d’impresa.

 

La natura della confisca e gli effetti della sua anticipazione in fase di sequestro costituiscono, dunque, gli elementi che rendono imprescindibile una specifica motivazione in ordine alla sussistenza del periculum in mora nella disciplina della responsabilità amministrativa degli enti.

Ciò è ancor più vero, se si considera che le stesse Sezioni Unite Ellade, nell’illustrare le ragioni sottese all’obbligo motivazionale del periculum, hanno richiamato la necessità di garantire il principio della presunzione di non colpevolezza e quello di proporzionalità, la cui possibile violazione risulta ancor più evidente nelle ipotesi di confisca cautelare dell’ente.

 

In conclusione, l’incidenza del sequestro finalizzato alla confisca, proprio in considerazione delle suddette peculiarità e della sua tendenziale applicazione in contesti imprenditoriali, è tale da richiedere garanzie rafforzate e non di certo inferiori a quelle previste in linea generale per il sequestro ex art 321 c.p.p. Tali considerazioni, in uno con la ritenuta applicabilità dei principi Ellade ad ogni tipologia di sequestro finalizzato alla confisca, porta a ritenere che l’obbligo motivazionale in ordine alle esigenze cautelari debba sussistere anche per il sequestro ex art 53, 9 e 19 d.lgs 231/2001.

 

4. (Segue) L’oggetto della valutazione del periculum in mora.

Dopo aver affermato la necessità che il sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria dell’ente ex art. 19, d.lgs. 231/2001 richiede anch’esso un’adeguata motivazione in merito alle esigenze cautelari, la S.C. si sofferma sull’oggetto su cui tale motivazione deve ricadere, ossia il rischio di dispersione della garanzia patrimoniale in merito all’eseguibilità della confisca.

 

Pur condividendo la riconosciuta equiparazione di ratio con il sequestro conservativo, la S.C. ritiene che non vi si possano estendere tourt court i medesimi presupposti applicativi. Con riferimento al sequestro conservativo, invero, la giurisprudenza ritiene sufficiente ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari che vi sia fondato timore che il patrimonio del debitore sia allo stato insufficiente per l’adempimento delle obbligazioni di cui all’art 316, comma 1 e 2 c.p.p., non occorrendo che sia prospettabile un futuro depauperamento del debitore.

 

Tali requisiti non sono invero richiamati dalle disposizioni di cui agli artt. 321 comma 2 c.p.p. o 53 d.lgs 231/2001, in relazione ai quali la Corte ritiene che la misura cautelare non possa essere applicata a fronte della mera sproporzione tra il profitto confiscabile e la capienza patrimoniale dell’ente, occorrendo in ogni caso un quid pluris che giustifichi l’ablazione anticipata.

 

Tale elemento ulteriore, attesa la ratio della misura, deve individuarsi nel pericolo che il bene oggetto di confisca possa, nelle more del procedimento, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato o alienato, senza tuttavia che le esigenze cautelari possano essere desunte esclusivamente dall’incapienza del patrimonio del destinatario rispetto al presumibile valore della confisca.

 

Da ciò ne deriva che, anche in termini difensivi, non sarà sufficiente allegare la consistenza patrimoniale dell’ente, che non escluderebbe ex se un possibile pericolo di distrazione e/o depauperamento.

 

5. Conclusioni.

La pronuncia in esame è certamente apprezzabile poiché, con un’articolata motivazione che tiene conto anche delle peculiarità della disciplina 231 e del suo contesto di applicazione, afferma chiaramente il dovere motivazionale in tema di periculum in mora del sequestro ex art. 53 d.lgs. 231/2001, rispetto al quale permanevano non pochi dubbi che generavano una giurisprudenza di merito al quanto eterogenea.

 

Del resto, nella materia che ci occupa sono frequenti interpretazioni contra reum tese ad estendere o a facilitare l’ambito applicativo delle misure di ablazione. Ne è testimonianza la problematica esegesi della nozione di profitto confiscabile, tutt’ora dibattuta, che un certo orientamento giurisprudenziale estende fino a ricomprendere somme di danaro di cui l’ente non si è mai avvantaggiato (si rinvia al contributo sul tema)

 

Deve rilevarsi, altresì, che la Corte nell’esposizione delle sue premesse teoriche dichiara apertamente di aderire alla nota sentenza Codelfa (Cass. Pen., sez. VI, sent. n. 34505/2012).

Tale pronuncia, per vero rimasta isolata, nel riconoscere l’equiparazione tra sequestro finalizzato alla confisca ex art. 53 d.lgs. 231/2001 e misure cautelari personali, riteneva addirittura necessario che in luogo del mero fumus vi fosse anche un accertamento della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza dell’ente, alla stregua proprio di quanto accade per le misure cautelari della persona fisica.

 

La sentenza in commento non si spinge fino a questo punto, ma apre certamente le porte a prospettive future orientate in senso maggiormente garantista, come pure parte della dottrina già da tempo auspicava.