La responsabilità delle persone giuridiche nel quadro giuridico europeo. I principali cambiamenti con la proposta di Direttiva del 2023
di Federica Zazzaro, Dottoranda di ricerca in Diritto penale
1. Quadro introduttivo
Il 3 maggio 2023, la Commissione Europea ha elaborato una proposta di direttiva in tema di lotta alla corruzione, 2023/0135 (COD), con l’obiettivo di armonizzare il vigente quadro giuridico della corruzione, nonché il relativo sistema sanzionatorio e preventivo predisposto da ciascuno Stato membro (per un’analisi della proposta di direttiva, si rimanda ad un precedente commento).
La nuova proposta di direttiva merita una particolare considerazione perché apporterebbe alcune significative modifiche alla disciplina della responsabilità delle persone giuridiche, da un lato introducendo un limite minimo all’ammontare della sanzione pecuniaria, dall’altro lato prevedendo alcune circostanze attenuanti in caso di condanna delle persone giuridiche che puntano ad una maggiore rilevanza dei profili soggettivi e organizzativi dell’ente.
In via preliminare, bisogna ricordare che nel quadro del diritto penale europeo, il tema della responsabilità delle persone giuridiche è stato da sempre disciplinato con formule minime e standardizzate. Il primo documento contenente disposizioni di questo tipo è il Secondo Protocollo alla Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, del 1997 (per un’analisi della disciplina, si rinvia al testo del Secondo Protocollo).
Da allora, tutti gli strumenti legislativi adottati dall’Unione europea hanno incluso le medesime previsioni in tema di condanna delle persone giuridiche, senza modificare il contenuto dei criteri imputativi, né tantomeno la disciplina sanzionatoria.
Questa scelta legislativa soddisfaceva due esigenze di fondo. Da un lato, il legislatore europeo assicurava standard minimi di imputazione comuni per tutti gli Stati membri. Dall’altro lato, un’armonizzazione nel minimo garantiva agli Stati membri un margine nazionale di apprezzamento, permettendo a ciascuno Stato di scegliere discrezionalmente la propria disciplina.
Sembra opportuno in questa sede soffermarci sulle principali novità previste dalla proposta in tema di responsabilità delle persone giuridiche e su alcuni elementi di distonia rispetto all’attuale disciplina sovranazionale e rispetto alla disciplina nazionale, di cui al d.lgs. n. 231/2001.
2. I criteri imputativi della responsabilità delle persone giuridiche nella proposta di direttiva
Nella proposta di direttiva i criteri di imputazione della responsabilità agli enti sono rimasti immutati.
Il primo criterio di cui all’art. 16 della proposta fonda la responsabilità dell’ente sulla posizione predominante dell’autore del reato che, agendo a titolo individuale o in quanto membro di un organo della persona giuridica, detiene una posizione dirigenziale presso la persona giuridica basata su un potere di rappresentanza della persona giuridica, sulla facoltà di prendere decisioni per conto della persona giuridica o sulla facoltà di esercitare funzioni di controllo presso la persona giuridica (art. 16, par. 1).
Il secondo paragrafo dell’art. 16, invece, contempla l’ipotesi di responsabilità delle persone giuridiche quando “il difetto di sorveglianza o controllo da parte di una persona di cui al paragrafo 1 abbia reso possibile la commissione, anche a opera di una persona soggetta alla loro autorità, di uno dei reati di cui agli articoli da 7 a 14” (art. 16, par. 2).
In entrambi i casi, affinché vi sia una responsabilità dell’ente, deve sussistere un vantaggio a favore di esso derivante dalla commissione del reato.
Dalla lettura dell’art. 16 emerge che la responsabilità delle persone giuridiche si fonda su criteri di imputazione essenzialmente oggettivi: da un lato, l’esistenza di un beneficio derivante dal reato-presupposto a favore dell’ente; dall’altro lato, la realizzazione di un reato da parte di un soggetto con funzione apicale o la commissione di un reato in seguito ad un difetto di sorveglianza o controllo dell’apicale, anche da parte di un soggetto sottoposto alla direzione di quest’ultimo.
Sotto questo aspetto, la proposta non si discosta dalla disciplina vigente, non esplicitando in alcun modo la necessità di introdurre un criterio soggettivo di imputazione della responsabilità all’ente, quantomeno nella forma di una colpa di organizzazione della persona giuridica per il reato-presupposto commesso al suo interno.
Al contrario, l’ordinamento italiano, come noto, agli artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 231/2001 prevede criteri di imputazione soggettivi che si muovono essenzialmente intorno al concetto di colpa di organizzazione, intendendo con essa la mancata predisposizione di una serie di misure organizzative e preventive volte ad evitare la realizzazione del reato, e che si differenziano sulla base delle categorie soggettive di appartenenza delle persone fisiche autrici del reato-presupposto.
Andando avanti con l’analisi, la proposta di direttiva prevede al paragrafo 3 dell’art. 16 che la responsabilità delle persone giuridiche “non preclude l’azione penale nei confronti delle persone fisiche che sono autori, istigatori o complici” di uno dei reati previsti dalla proposta. Così, seppure la responsabilità delle persone giuridiche sembri essere ancorata alla commissione del reato-presupposto da parte dell’individuo, in ogni caso, i due profili di responsabilità mantengono una forma di autonomia nella misura in cui l’imputazione all’ente non fa venire meno l’esigenza di procedere penalmente nei confronti del singolo soggetto autore, istigatore o complice del reato-presupposto.
Sul punto, vale la pena di rammentare che nell’ordinamento italiano l’art. 8 del d.lgs. n. 231/2001, rubricato “autonomia della responsabilità dell’ente”, statuisce che nei casi in cui l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile, o quando il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia, la responsabilità delle persone giuridiche continua a sussistere.
3. Il sistema sanzionatorio. La rilevanza dei compliance programs e dell’etica aziendale in funzione attenuante.
Le maggiori novità della proposta di direttiva riguardano i profili sanzionatori, che si differenziano dalla vigente disciplina sia dal punto di vista della sanzione pecuniaria – nella misura in cui è indicato il limite minimo del 5% del fatturato aziendale – sia dal punto di vista della rilevanza dell’adozione di programmi di conformità e dell’implementazione dei controlli interni ai fini mitigatori.
In particolare, l’art. 17 disciplina le sanzioni a carico delle persone giuridiche e dispone che ciascuno Stato membro dovrà prendere le misure necessarie affinché la persona giuridica sia punibile con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive (sul punto, la disposizione si avvale di una formula oramai standardizzata nella legislazione europea).
Inoltre, tra le misure predisposte dagli Stati membri a carico delle persone giuridiche dovranno esservi “sanzioni pecuniarie penali o non penali, il cui limite massimo non dovrebbe essere inferiore al 5% del fatturato globale totale della persona giuridica, comprese le entità collegate, nell’esercizio precedente a quello della decisione di irrogazione della sanzione pecuniaria” (art. 17, par. 2, lett. a).
A differenza della vigente disciplina, la proposta prevede una percentuale minima della sanzione pecuniaria, applicabile agli enti in caso di condanna, connessa al fatturato della persona giuridica. L’introduzione di questa base afflittiva minima sembra mirare ad un duplice obiettivo: da un lato, scongiurare le ipotesi normative nazionali che consentono la previsione astratta di sanzioni di modesta entità; dall’altro lato, far sì che la sanzione pecuniaria applicabile nel caso di specie sia sempre proporzionata alle condizioni economiche dell’ente. Su questo punto, l’ordinamento italiano, come è noto, all’art. 11, co. 2 del d.lgs. n. 231/2001, dispone, tra i criteri di commisurazione della sanzione pecuniaria, che l’importo della quota venga fissato “sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione”.
Infine, la proposta di direttiva prevede alcune circostanze attenuanti della responsabilità applicabili nelle ipotesi in cui l’autore del reato è una persona giuridica.
Nel dettaglio, l’art. 18 dispone che gli Stati membri prendano le misure necessarie affinché sia considerata come circostanza attenuante l’efficace attuazione ad opera della persona giuridica di programmi di controllo interno, di sensibilizzazione in materia di etica e di conformità per prevenire la corruzione, prima o dopo la commissione del reato (art. 18, par. 2, lett. b).
Con questa disposizione emergono a livello sovranazionale, per la prima volta, gli istituti della compliance aziendale e dell’attuazione di programmi di controllo interno, anche se considerati solo in funzione di circostanze attenuanti delle misure sanzionatorie.
A tal proposito, nella disciplina italiana l’adozione dei modelli di organizzazione assume una funzione non solo esimente, nella parte in cui all’art. 6 e 7 del d.lgs. n. 231/2001 è previsto che l’ente non risponde se ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, ma anche una funzione di attenuante della sanzione pecuniaria se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi (art.12, co. 2, lett. b del d. lgs. n. 231/2001).
Inoltre, la proposta di direttiva statuisce che gli Stati membri prendano le misure necessarie affinché sia considerata come attenuante la circostanza in cui la persona giuridica, una volta scoperto il reato, lo comunichi rapidamente e volontariamente alle autorità competenti e disponga misure correttive (art. 18, par. 2, lett. c).
Su questo punto, le forme di collaborazione post-delictum dell’ente trovano riconoscimento anche nel sistema italiano.
L’art. 17, par. 1, lett. a e b, del d. lgs. n. 231/2001 statuisce l’esclusione delle sanzioni interdittive sia nell’ipotesi in cui l’ente ha risarcito integralmente il danno, eliminando le conseguenze dannose o pericolose del reato, sia nell’ipotesi in cui l’ente ha eliminato le carenze organizzative mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi.
In aggiunta, l’art. 25, co. 5-bis, del d. lgs. n. 231/2001 prevede una circostanza attenuante speciale per i reati di corruzione, peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità e abuso d’ufficio, secondo cui “se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati […] e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi” le sanzioni interdittive prevederanno un minimo e un massimo edittale inferiore a quello indicato all’art. 25, co. 5, d. lgs. n. 231/2001 (nella specie, le sanzioni interdittive avranno una durata non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni).
In conclusione, alla luce della proposta di direttiva analizzata, si segnala un’importante apertura della Commissione europea all’istituto dei compliance programs, nonché una maggiore attenzione al profilo di colpevolezza della persona giuridica attraverso la previsione di circostanze attenuanti a favore degli enti che adottano programmi di controllo interno e di sensibilizzazione in materia di etica.
Rispetto alla disciplina sovranazionale vigente, con la nuova proposta il legislatore europeo sembra indirizzare la disciplina verso una politica di prevenzione dei reati piuttosto che di sola repressione, attraverso il riconoscimento della compliance d’impresa non solo come elemento finalizzato alla prevenzione del rischio di commissione di reati, ma anche come strumento che ripara dalle conseguenze post-delictum.
Per consultare la proposta di Direttiva, cliccare qui.