In arrivo la responsabilità dell’ente per crimini internazionali?
di Megi Trashaj, Dottoranda in Diritto penale; Avvocato
La Commissione Crimini internazionali, istituita con il compito di elaborare un progetto di Codice dei Crimini internazionali, ha trasmesso alla Ministra della giustizia il predisposto articolato, corredato da una Relazione illustrativa.
Il progetto, la cui importanza è superfluo evidenziare in un’epoca in cui si sono riaccesi i conflitti armati, propone anche novità in materia di responsabilità delle corporations ex d.lgs. 231/2001.
1. Il contesto
Alla fine degli anni ’90 la Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite adottava a Roma lo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale (cd. Statuto di Roma).
Lo Statuto veniva ratificato dall’Italia nel 1999 ed entrava in vigore nel 2002. La legge n. 237 del 2012 introduceva regole volte ad adeguare l’ordinamento italiano alle disposizioni dello Statuto di Roma ma rimane tuttora aperta la necessità di adattare, nella materia dei crimini internazionali, il diritto interno a quello statutario.
Considerato che, secondo il Ministero della giustizia, tale operazione richiede un’attività “complessa” di organizzazione e sistematizzazione della disciplina, veniva istituita (con D.M. del 22 marzo 2022) la Commissione per l’elaborazione di un progetto di Codice dei Crimini internazionali.
2. Il principio di complementarietà
Per comprendere meglio l’esigenza di ‘adattamento’ dell’ordinamento italiano agli obblighi assunti sul piano internazionale è utile evidenziare che l’art. 17 dello Statuto di Roma prevede il cd. “principio di complementarietà” secondo il quale la giurisdizione della Corte penale internazionale può essere esercitata solo quando lo Stato, che avrebbe giurisdizione su un crimine, ‘non voglia’ o ‘non possa’ perseguirlo.
Il nuovo Codice, dunque, sarebbe strumento volto ad introdurre nel sistema le disposizioni “necessarie per assicurare che i crimini previsti nello Statuto di Roma possano essere sottoposti alla giurisdizione italiana” (Relazione): in assenza di esso l’Italia “sarebbe esposta a un giudizio della Corte dichiarativo dell’assenza di volontà o di incapacità di perseguire crimini internazionali” (Relazione).
3. La Commissione: obiettivi e risultati
Al fine di portare lo Stato italiano a conformarsi agli obblighi assunti negli anni ’90 sono stati quindi attribuiti alla Commissione i compiti di
- esaminare le proposte già avanzate in passato per l’attuazione dello Statuto di Roma,
- redigere il testo di un Codice dei Crimini internazionali che ‘adatti’ l’ordinamento interno a quello dello Statuto.
Il 31 maggio 2022 i Presidenti della Commissione hanno trasmesso alla Ministra della Giustizia il progetto di Codice dei Crimini internazionali.
Nella proposta di Codice sono stati inseriti tutti i crimini previsti dallo Statuto di Roma (e da altri documenti integrativi dello stesso) al fine di “permettere l’esercizio della giurisdizione italiana in tutti i casi nei quali, in sua assenza, possa intervenire la giurisdizione della Corte penale internazionale” rilevando carenze dello Stato italiano nel perseguimento di reati che attingono “beni giuridici estremi ed universali, che si pongono fuori dall’ordine comune dei beni giudici della vita sociale” (Relazione).
4. Il progetto di Codice in sintesi
Prima di passare al tema della responsabilità degli enti è utile esplicitare, seppur in modo sintetico, qualche elemento in più sulla proposta avanzata dalla Commissione.
a) Riserva di codice (penale) o disciplina organica autonoma?
La Commissione ha proposto l’introduzione della nuova normativa attraverso l’adozione di un apposito Codice come “corpus normativo topograficamente separato rispetto al codice penale” (Relazione). Tale scelta è stata presa
- in considerazione dell’eccezionale disvalore rappresentato dalle condotte punite;
- per agevolare la “visibilità” delle fattispecie;
- al fine di consentire “adattamenti” delle regole generali in materia di efficacia della legge penale nello spazio, giurisdizione, presupposti e condizioni della responsabilità penale.
b) Perché l’espressione “crimini”?
Il “crimine” è oggetto di studio della criminologia, il “reato” invece è focus del diritto penale. Mentre nel discorso criminologico, però, i due termini sono spesso utilizzati in modo interscambiabile, la dottrina penalistica è ben attenta ad evitare tale operazione alla luce del principio costituzionale di legalità che individua nella legge la fonte esclusiva del reato introducendo così nel sistema penale una rigorosa formalizzazione.
Più semplicemente: tecnicamente il diritto penale si occupa di reati (definiti tali dalla ‘legge’), il crimine è qualcosa di diverso potendo, per esempio, ricomprendersi in esso anche illeciti non costituenti reato.
Inoltre, come sanno anche gli studenti che si approcciano allo studio della materia, nel nostro codice penale è ancora presente la demarcazione tra delitti e contravvenzioni.
Tornando al formalismo: il crimine internazionale che natura avrebbe e, quindi, ad esso che disciplina si applicherebbe? Quella dei delitti o quella delle contravvenzioni?
A tali perplessità e domande dà risposta la Commissione stessa evidenziando che
- è invalsa (e preferita) nel linguaggio corrente la denominazione di “crimini” in riferimento agli “speciali reati” di cui si discorre;
- i nuovi “crimini” internazionali sono tutti delitti in quanto sanzionati con le pene che il codice penale riserva a questa tipologia di reati (ergastolo o reclusione).
c) Il contenuto
In riferimento alla “parte generale” del codice penale, la Commissione ha proposto l’introduzione di un “numero minimo” di norme derogatorie, invece “per quanto concerne tutto ciò che non è espressamente disciplinato diversamente dalla nuova legge, si applicano le disposizioni del codice penale” (Relazione).
Tra le norme derogatorie troviamo disposizioni in materia di applicabilità della legge penale italiana per fatti commessi all’estero, adempimento dell’ordine del superiore, uso legittimo delle armi, prescrizione e confisca.
Con riguardo alla “parte speciale” del nuovo Codice dei crimini internazionali la Commissione, nel delineare le fattispecie di reato, si è premurata di garantire una tutela non inferiore a quella richiesta dallo Statuto di Roma. Laddove poi è apparso necessario, “per coerenza con altri campi di tutela”, la Commissione ha anche proposto l’introduzione di disposizioni di “maggiore tutela rispetto allo Statuto”.
Le ipotesi disciplinate sono il genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra, il crimine di aggressione e la command responsability. Accese discussioni, in senso alla Commissione, sulla previsione di una fattispecie di reato associativo per il compimento di uno o più crimini internazionali.
5. La responsabilità dell’ente per crimini internazionali
La Commissione, evidenziato il ruolo degli “attori economici nella commissione di crimini internazionali” – cd. business complicity – propone l’introduzione della responsabilità amministrativa dell’ente da crimine internazionale.
La proposta non gemma dalla necessità di rispettare un ‘vincolo’ derivante dallo Statuto di Roma (che non pone l’obbligo per gli Stati di introdurre una disposizione di questo tipo) ma dall’esigenza – poc’anzi accennata – di operare scelte “improntate a maggior rigore rispetto allo standard statutario, ove queste siano imposte o suggerite da stringenti vincoli di fonte costituzionale o da esigenze di coerenza interna al sistema normativo italiano” (Relazione).
La Commissione definisce un perimetro di responsabilità per l’ente, nel caso di crimini internazionali, parzialmente diverso rispetto a quello delineato dal d.lgs. 231/2001 (pur collocandosi questo tipo di responsabilità nell’impianto della cd. 231), perché
- i crimini internazionali “assumono rilevanza per effetto della sussistenza di un elemento di contesto che ne segnala il carattere tendenzialmente sistematico e comunque non episodico” (Relazione);
- è necessario “preservare lo svolgimento di attività economiche lecite che presentano intrinseche dimensioni di rischio” quali “la produzione e commercializzazione di materiale di armamento e la fornitura di software o tecnologica a duplice uso” (Relazione).
La responsabilità per l’ente dovrebbe quindi sorgere, secondo la proposta della Commissione, “quando il reato sia stato determinato da gravi carenze organizzative” (formula attinta dall’attuale testo dell’art. 13 del d.lgs. 231/2001 in materia di interdittive) che si possono verificare
- “per l’ipotesi in cui il reato sia espressione della politica aziendale, espressa dalla condotta dell’apicale” (Relazione);
- “nel caso in cui esso risulti da una colpa di organizzazione che abbia consentito la commissione del crime da parte del subordinato” (Relazione).
Il criterio atto a fondare la responsabilità dell’ente da crimine internazionale, basandosi sulle “gravi carenze organizzative”, rappresenterebbe formalmente una novità rispetto all’attuale impianto delineato dal d.lgs. 231/2001 che, agli artt. 5, 6 e 7, per quanto qui di interesse, prevede una responsabilità per la corporation qualora l’apicale o il subordinato abbiano agito nell’interesse o a vantaggio della stessa ed essa non abbia adottato ed efficacemente attuato modelli di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Si segnala, tuttavia, che il riferimento alle “carenze organizzative”, come criterio di imputazione dell’illecito all’ente non rappresenta un’assoluta novità nel settore considerato che nella relazione al d.lgs. 231/2001 già il legislatore evidenziava “il reato dovrà costituire anche espressione della politica aziendale o quantomeno derivare da una colpa di organizzazione”. Così, anche la più recente giurisprudenza: per tale addebito per fatto proprio, è necessario che sussista, a carico dell’ente, la cosiddetta “colpa di organizzazione” (Cassazione penale sez. IV, ud. 15/02/2022, dep. 10/05/2022, n. 18413, pres. S. Dovere, rel. A. Ranaldi). In sintesi si potrebbe dunque affermare che il criterio di imputazione proposto dalla Commissione espliciti, in modo chiaro e forte, l’esigenza di attribuire una responsabilità all’ente solo nei casi in cui ricorra la cd. colpa di organizzazione.
La Commissione individua ipotesi di condotte aggravate che possono dar luogo a sanzioni pecuniarie per l’ente più elevate di quelle – già di rilevante entità – previste dalle fattispecie base. È prevista anche l’applicabilità delle sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2, del d.lgs. 231/2001, al ricorrere delle condizioni di cui al d.lgs. 231/2001: profitto di rilevante entità tratto dal reato commesso da apicali o da sottoposti quando, in quest’ultimo caso, “la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative”; reiterazione degli illeciti (art. 13 del d.lgs. 231/2001). Tuttavia, il quantum sanzionatorio non è stato definito dalla Commissione che, guardando all’art. 25 del d.lgs. 231/2001, evidenzia “scelte dissonanti compiute dal legislatore” nell’ambito del d.lgs. 231/2001.
Partendo dal modello offerto dagli artt. 24 ter (Delitti di criminalità organizzata) e 25 quater (Delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico) del d.lgs. 231/2001, il Codice propone l’applicazione della sanzione interdittiva definitiva dall’esercizio dell’attività per la cd. impresa illecita che si caratterizza per una “stabile destinazione dell’ente o di una sua unità organizzativa alla commissione dei crimini internazionali” (Relazione).
In ultimo, stando al testo elaborato dalla Commissione, dovrebbe essere esclusa la responsabilità dell’ente in presenza di provvedimenti dell’autorità autorizzatori dell’attività posta in essere dalla corporation. Tale causa di non punibilità, fondata sulla ‘buona fede’, viene formulata in questi termini: “l’ente non risponde quando la condotta sia realizzata nel rispetto di provvedimenti dell’autorità”.
Dal punto di vista del diritto penale, l’ampia formulazione della norma proposta dalla Commissione potrebbe portare l’interprete a ricondurre la stessa nell’ambito delle scriminanti, delle scusanti o delle cause di esclusione della punibilità in senso stretto, istituti che, come noto, trovano diverso fondamento e disciplina nell’ordinamento penale. In questa fase, seppur precocemente, si può solo rilevare che se da un lato la non punibilità a fronte dell’autorizzazione dell’autorità risponderebbe ad un’esigenza di non contraddizione dell’ordinamento (propria delle scriminanti) dall’altro con l’uso del concetto di “buona fede” la Commissione sembra rifarsi alla giurisprudenza sull’efficacia scusante della stessa nelle contravvenzioni (di recente sul tema Cassazione penale sez. III, ud. 14/10/2021, dep. 10/11/2021, n.40571: “la buona fede, che esclude nei reati contravvenzionali l’elemento soggettivo, può essere determinata solo da un fattore positivo esterno ricollegabile ad un comportamento della autorità amministrativa deputata alla tutela dell’interesse protetto dalla norma, idoneo a determinare nel soggetto agente uno scusabile convincimento della liceità della condotta”).
6. I prossimi passi: da progetto a regola?
Resta quindi da monitorare l’iter che seguirà per comprendere se, e in quale misura, la proposta della Commissione si tramuterà in dato normativo.
7. La Commissione: composizione
La Commissione Crimini internazionali, istituita presso il Gabinetto della Ministra della giustizia, è presieduta dai Professori Francesco Palazzo (Professore emerito di Diritto penale presso l’Università di Firenze) e Fausto Pocar (Professore emerito di Diritto internazionale presso l’Università di Milano) ed è composta da: Dott. Rosario Aitala (Giudice della Corte penale internazionale); Dott. Maurizio Block (Procuratore generale militare presso la Corte suprema di Cassazione); Prof.ssa Valeria Del Tufo (Ordinaria di Diritto penale – Università degli Studi Suor Orsola Benincasa); Prof.ssa Emanuela Fronza Associata di Diritto penale – Università di Bologna; Dott. Nicola Lettieri (Sostituto Procuratore generale presso la Corte suprema di Cassazione); Gen. Div. Salvatore Luongo (Capo dell’Ufficio Legislativo del Ministero della Difesa); Prof. Stefano Manacorda (Ordinario di Diritto penale – Università degli studi della Campania); Prof.ssa Chantal Meloni (Associata di Diritto penale – Università degli Studi di Milano);
Dott. Antonio Mura (Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma); Dott. Antonio Pastore (Magistrato addetto al Servizio Affari Internazionali – Gabinetto della Ministra della giustizia); Prof. Marco Pedrazzi (Ordinario di Diritto internazionale – Università degli Studi di Milano); Avv. Ezechia Paolo Reale (Segretario generale The Siracusa International Institute); Avv. Paola Rubini (Vice presidente dell’Unione Camere penali italiane); Dott. Cuno Jakob Tarfusser (Sostituto procuratore generale presso la Corte d’appello di Milano); Prof. Antonio Vallini (Ordinario di Diritto penale – Università di Pisa); Min. Plen. Pasquale Velotti (Vice Capo del Servizio per gli affari giuridici, del contenzioso diplomatico e dei trattati – Ministero Affari Esteri e Cooperazione internazionale); Prof. Salvatore Zappalà (Ordinario di Diritto internazionale – Università di Catania).
Partecipano ai lavori il Capo di Gabinetto e il Vice Capo di Gabinetto Prof. Nicola Selvaggi, il Capo dell’Ufficio Legislativo e il Vice Capo dell’Ufficio Legislativo Dott.ssa Concetta Locurto, il Capo del Dipartimento per gli affari di giustizia Dott. Nicola Russo e il Direttore generale degli affari internazionali e della cooperazione giudiziaria Dott. Stefano Opilio, il Consigliere diplomatico della Ministra della giustizia, Cons. Augusto Massari.
Clicca qui per leggere il testo della Relazione elaborato dalla Commissione crimini internazionali.