Giurisprudenza interna

Infortuni sul lavoro e responsabilità del C.d.A in presenza di deleghe

21 Febbraio 2025

Con la sentenza n. 40682 del 6 novembre 2024 la Corte di Cassazione è tornata sul tema della corretta ripartizione della responsabilità tra i membri del C.d.A. in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, soffermandosi in particolar modo sulla reale portata esimente degli istituti della delega gestoria, ex art. 2381 c.c., e della delega di funzioni, ex art. 16 d.lgs. n. 81/2008, nei confronti dell’intero consiglio di amministrazione.

 

È noto che nel campo del diritto penale dell’impresa il tema del trasferimento di funzioni continua a destare grande interesse sia sul piano dell’approfondimento teorico che su quello dell’applicazione in concreto. Esso riveste un ruolo cruciale nella definizione del riparto della responsabilità penale all’interno delle organizzazioni complesse, ove la struttura organizzativa rende difficile l’opera di accertamento e di individuazione dei soggetti responsabili operanti al suo interno.

Tale complessità risulta particolarmente evidente in taluni contesti, come quello della tutela della salute e sicurezza sul luogo di lavoro, che rischia di entrare in conflitto con le esigenze della produttività. In via ulteriore, a complicare il quadro giuridico, vi è una non sempre agevole distinzione tra gli istituti della delega gestoria e della delega di funzioni. Difatti, seppur chiarite più volte in linea teorica le linee di demarcazione dalla giurisprudenza di legittimità, si registra ancora oggi nella prassi una tendenza ad operare una totale sovrapposizione tra le due deleghe.

Dinnanzi a tali ostacoli, in dottrina e in giurisprudenza sovente si solleva l’interrogativo su quali siano i confini dei doveri e delle responsabilità dei soggetti posti al vertice, titolari di posizioni di garanzia originarie, laddove all’interno delle organizzazioni complesse abbiano delegato parte delle proprie competenze ad uno o più componenti dell’organo gestorio.

 

Nella sentenza in commento, la Cassazione, dopo aver ribadito i profili distintivi tra la delega di funzioni e la delega gestoria (richiamando e consolidando quanto disposto nella sentenza del 31 gennaio 2024, n. 4968, per la quale si rinvia ad un precedente commento) è giunta ad affermare un importante principio di diritto secondo cui permane in capo all’intero consiglio di amministrazione una responsabilità residuale, nonostante il corretto conferimento di deleghe all’interno dell’assetto societario, laddove l’evento lesivo sia il risultato di gravissime carenze organizzative e di una chiara politica aziendale volta a subordinare le esigenze di sicurezza alla massimizzazione del profitto.

 

1.La vicenda giudiziaria al vaglio della Corte di appello.

La vicenda trae origine da un episodio di morte sul luogo di lavoro di un dipendente della società appaltatrice di lavori per la realizzazione della terza corsia di un’autostrada e committente la realizzazione di lastre, da cui era derivata la responsabilità di tre membri del C.d.A. della società costruttrice e posatrice di lastre in cemento armato, a cui era stato affidato il lavoro in forza di un contratto di «fornitura e posa».

L’incidente, in estrema sintesi, era avvenuto durante l’esecuzione del «getto» di calcestruzzo tra la vasca di contenimento delle acque e le lastre installate dalla società costruttrice, quando il lavoratore veniva travolto da una di esse improvvisamente rovesciatasi «a causa di gravissimi errori nelle fasi di produzione e installazione» da parte della società costruttrice.

La Corte d’Appello di Milano con la sentenza del 18 novembre 2022 confermava la responsabilità del presidente e dei membri del C.d.A. della società costruttrice delle lastre per l’omicidio colposo del lavoratore.

Con riferimento al presidente del C.d.A., i giudici di merito riconoscevano la responsabilità per aver attestato, con una comunicazione scritta, alla ditta appaltatrice l’idoneità dei lavoratori a operare presso lo specifico cantiere, certificando la comprensione della lingua italiana e la loro capacità di eseguire l’opera di montaggio delle lastre. Mentre, per i membri del consiglio, veniva accertata la loro responsabilità per essere stati delegati a compiti e poteri di gestione dell’intero ciclo produttivo e di controllo della qualità dei manufatti prodotti, nonché per aver sottoscritto un Piano Operativo di Sicurezza (POS), rivelatosi inidoneo alla gestione del rischio, e per essere stati garanti dell’applicazione della normativa in materia di sicurezza in tutte le fasi, compresa quella del montaggio dei prefabbricati.

 

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione il presidente del C.d.A. lamentando che la responsabilità per omicidio colposo era in palese violazione del principio di personalità della responsabilità penale, perché fondata sulla mera carica di presidente del consiglio, nonostante l’assenza di deleghe a lui conferite. Al contempo, gli altri membri del C.d.A. proponevano ricorso lamentando che la condanna era basata sul ruolo di membri del consiglio, ed era avvenuta solo in ragione dei loro compiti inerenti alla gestione del controllo qualità, non rilevanti, tuttavia, per i fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Secondo i ricorrenti, la loro posizione di garanti si sarebbe dovuta ritenere sussistente solo con riferimento ai rischi presenti negli ambienti di lavoro e nei confronti dei propri dipendenti, senza potersi estendere alle fasi di produzione e montaggio delle lastre (e quindi ai dipendenti dell’appaltatrice). Al contrario, con riferimento a queste ultime due aree, la Corte territoriale avrebbe dovuto tener conto delle plurime posizioni di garanzia ascritte a diversi soggetti, tra cui il responsabile di stabilimento, il responsabile del montaggio lastre e gli addetti al controllo qualità.

 

2.La Corte di Cassazione ritorna sulla distinzione tra la delega di funzioni e la delega gestoria

Il tema su cui si è incentrata la decisione della Suprema Corte è quello della corretta ripartizione della responsabilità penale all’intero del C.d.A., nelle particolari ipotesi in cui sono presenti all’interno della struttura societaria una delega di funzioni e/o una delega gestoria.

Sul punto la Cassazione ha negato la configurabilità di una mera responsabilità da posizione del vertice societario e dell’intero C.d.A., confermando la loro colpevolezza sulla base delle risultanze del caso concreto.

Nel ritenere infondati i ricorsi, la Corte ha operato dapprima un’attenta ricostruzione degli istituti della delega di funzioni e della delega gestoria, per poi soffermarsi sull’incidenza che queste hanno all’interno della struttura organizzativa, nonché le conseguenti ricadute in termini di doveri residuali sussistenti in capo all’organo o soggetto delegante.

Ripercorrendo a grandi linee la struttura delle due figure, da un lato, la delega di funzioni è un istituto di matrice originariamente giurisprudenziale e dottrinale, che ha trovato una sua tipizzazione in primis nel d. lgs. n. 626/1994 e successivamente negli artt. 16 e 17 del d.lgs. n. 81/2008, Testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro (TUSL).

Secondo l’interpretazione prevalente in giurisprudenza e corroborata successivamente dalla regolamentazione normativa, essa consiste in un atto organizzativo, di natura negoziale, con cui si opera un trasferimento di funzioni da parte di un soggetto, datore di lavoro titolare ex lege di un obbligo giuridico, ad un altro individuo, diventando quest’ultimo garante a titolo derivativo, con conseguente riduzione e mutazione dei doveri facenti capo al soggetto delegante.

La sua efficacia e corretta applicazione deriva da una serie di requisiti e condizioni cristallizzati nell’art. 16 del TUSL, tra cui la presenza di un atto scritto recante data certa, la sussistenza di specifici requisiti di professionalità ed esperienza del delegato, l’attribuzione a quest’ultimo di poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate, nonché l’autonomia di spesa e l’accettazione per iscritto.

Diversamente, l’istituto della delega gestoria, disciplinato dall’art. 2381 c.c., consente di concentrare i poteri decisionali e di spesa connessi alla funzione datoriale, che fa capo ad una pluralità di soggetti (ovvero i membri del consiglio di amministrazione), solo su alcuni di essi con la specificazione che in quest’ultimo caso non è concepibile il trasferimento della funzione, ma solo l’adozione di un modello organizzativo tale per cui taluni poteri decisionali e di spesa – anche quelli relativi alla sicurezza ed alla salute dei lavoratori – vengono affidati ad uno o più dei suoi componenti o ad un comitato esecutivo (c.d. board esecutivo), al fine di garantire una maggiore efficienza nell’esercizio della sua funzione gestoria.

La differenza è evidente per ciò che concerne il contenuto della delega, nonché per il rapporto fra deleganti e delegati. Il requisito essenziale nella delega di funzioni è il conferimento del potere di spesa «adeguato in relazione alle necessità connesse allo svolgimento delle funzioni delegate».

Al contrario, nella disciplina della delega gestoria, il delegato è già investito della funzione datoriale e dei relativi poteri, ivi compreso quello di spesa, senza alcun limite imposto dalla legge. Pertanto, in quest’ultimo caso, non sarà necessario specificare il trasferimento del potere di spesa e indicare la dotazione finanziaria specifica, ma, ai fini dell’individuazione del datore di lavoro in caso di deleghe gestorie, è necessario dover verificare in concreto che vi sia un’effettività dei poteri di gestione e di spesa dei delegati.

Quanto al dovere di controllo che residua in capo ai deleganti, nella delega di funzioni permane «un preciso dovere di vigilanza in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. Dal punto di vista della responsabilità, ciò implica che il delegante potrà essere chiamato a rispondere per eventi illeciti in caso di culpa in eligendo o di culpa in vigilando che abbia avuto un ruolo eziologico rispetto agli accadimenti lesivi (si veda in merito, ex plurimis: Sez. U, n. 383423 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261108), con un’importante precisazione per cui la sua vigilanza «deve riguardare non il merito delle singole scelte bensì il complessivo adempimento del debito di protezione e controllo affidato al delegato» (così in sentenza, richiamando Sez. 4, n. 10702 del 1/02/2012, Mangone, Rv. 252675 – 01; Sez. 4 n. 22837 del 21/04/2016, Visconti, Rv 267319 – 01).

Viceversa, secondo quanto prescritto dal codice civile, il consiglio di amministrazione e gli amministratori deleganti conservano la facoltà di impartire direttive e sono tenuti, sulla base delle informazioni ricevute, a valutare l’adeguatezza dell’assetto della società e a valutare, sulla base delle relazioni informative, dei delegati il generale andamento della gestione (art. 2381 comma 3 cod. civ.); inoltre, tutti gli amministratori sono solidalmente responsabili se essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose (art. 2932 comma 2 cod. civ.). In tal caso, la Corte specifica che non si parlerebbe più di un trasferimento di funzioni, quanto piuttosto di una concentrazione dell’esercizio della gestione della funzione in capo ad alcuni soggetti.

 

3.La portata esimente delle deleghe e i profili di responsabilità residuale del C.d.A.

Dopo aver ribadito a grandi linee le principali distinzioni tra gli istituti, la Suprema Corte compie un significativo passo in avanti, chiarendo in modo ulteriore la portata in concreto esimente del meccanismo delle deleghe all’interno del contesto organizzativo.

Nel caso di specie, proseguendo nel solco interpretativo tracciato dal Collegio, emerge che pur in presenza di deleghe gestorie, ex art. 2381 c.c., e di deleghe di funzioni, ex art. 16 TUSL, validamente conferite, permane in capo all’intero consiglio di amministrazione la responsabilità per un evento lesivo che sia concretizzazione della totale carenza di procedimentalizzazione dell’attività produttiva, che trova la sua ragion d’essere in una chiara politica aziendale volta a massimizzare il profitto.

Nel dettaglio, la Cassazione ha ritenuto che i giudici avevano correttamente individuato gravissime carenze organizzative imputabili ai vertici societari, «in ragione dell’accertata assenza di programmazione dell’attività volta tanto alla produzione delle lastre in oggetto in termini di conformità al progetto specificatamente predisposto per la loro creazione, in vista della realizzazione del muro di contenimento della vasca di raccolta delle acque, quanto alla successiva installazione cori tecniche tali da gestire il rischio di ribaltamento». Era consolidata una prassi aziendale che tendeva a omettere sistematicamente il controllo di qualità dei manufatti, pur formalmente rispettato, attraverso l’apposizione di certificati fittizi di conformità prima della loro produzione e in assenza di alcuna effettiva verifica del prodotto, in ragione della sistematica violazione delle procedure di controllo.

Tale deficit organizzativo era il frutto di una chiara politica aziendale, che dava prevalenza al perseguimento di un maggiore profitto, attraverso una riduzione dei tempi di consegna, piuttosto che alla qualità del prodotto finito e alle esigenze di sicurezza.

A nulla servirebbe pertanto la predisposizione da parte della società di meccanismi di ripartizione delle funzioni e di deleghe interne, laddove, come ben chiarito dalla normativa e come ribadito più volte dalla giurisprudenza, non si accompagni a questo un corretto adempimento da parte del consiglio di amministrazione dei doveri di vigilanza residuali gravanti sul delegante e dell’obbligo del C.d.A. inerente alla gestione del rischio.

Pertanto, stante le riflessioni espresse in questa sede dalla Suprema Corte, i componenti del C.d.A. e il presidente continuano ad essere destinatari di responsabilità penale, pur avendo adottato strumenti di ripartizione delle funzioni e delle competenze, poiché grava su di essi uno specifico obbligo e dovere di vigilare sull’andamento della gestione societaria, oltre che uno specifico dovere di adottare misure organizzative e preventive idonee alla riduzione significativa del rischio di verificazione di eventi lesivi.

 

Federica Zazzaro, Dottorato di ricerca in Diritto penale presso l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”. Avvocato

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