Nell’ambito di un vasto intervento in materia penitenziaria (più sotto il profilo organizzativo che giuridico), il decreto-legge 4 luglio 2024, n. 92 – meglio noto come Decreto Carceri – ha introdotto l’articolo 314-bis c.p. ovvero una nuova fattispecie di reato contro la pubblica amministrazione, rubricata Indebita destinazione di denaro o cose mobili. Novazione motivata – come si legge all’art. 1 del medesimo decreto – dalla “straordinaria necessità e urgenza di definire, anche in relazione agli obblighi euro-unitari, il reato di indebita destinazione di beni ad opera del pubblico agente”, cioè da un obbligo di criminalizzazione imposto dall’art. 4, co. 3 della direttiva UE 2017/1371 (la direttiva PIF), la cui urgenza ha trovato una giustificazione nell’abrogazione del delitto di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) ad opera della legge 9 agosto 2024, n. 114.
La legge 8 agosto 2024, n. 112, poi, nel convertire il Decreto Carceri, vi aggiunge un’ipotesi aggravata – laddove il reato sia commesso a danno degli interessi finanziari dell’Unione europea – e un limite-soglia alla rilevanza penale del fatto, stabilito nell’ingiusto vantaggio patrimoniale e nel danno patrimoniale di valore superiore ad euro 100.000,00, come stabilito dalla direttiva PIF stessa. Inoltre, la stessa legge di conversione interviene sulla disposizione ‘specchio’ dell’art. 322-bis c.p., che – come noto – riflette il precetto di alcuni reati contro la pubblica amministrazione verso i pubblici agenti delle organizzazioni e delle istituzioni internazionali: da un lato, elimina dalla rubrica la menzione del reato di abuso d’ufficio e dal corpo del precetto il rinvio fisso all’art. 323 c.p. e, dall’altro, vi inserisce il richiamo all’indebita destinazione di denaro o cose mobili e nel corpo dell’incriminazione il rinvio fisso all’art. 314-bis c.p., modificando anche la rubrica e il corpo dell’art. 25, comma 1 del d.lgs. n. 231/2001.
Questo nuovo delitto, quindi, pare che sia volto a colmare il vuoto di tutela aperto dall’abrogazione dell’abuso d’ufficio, anche in ragione del ruolo che le condotte ivi criminalizzate rivestivano nel contrasto alla corruzione internazionale (come rilevato, tra gli altri, dall’OCSE). Al di là del fatto che la legge di conversione del Decreto Carceri è dell’8 agosto 2024 e quella con cui è stato abrogato l’art. 323 c.p. è del giorno dopo, ossia del 9 agosto 2024, emerge una certa continuità del tipo di illecito tra le due fattispecie, come segnalato da più Autori (G.L. Gatta, M. Gambardella, M. Parodi Giusino), sebbene l’ambito di applicazione del delitto di nuovo conio risulti più circoscritto rispetto a quello dell’abrogato abuso d’ufficio.
In questa sede si tenterà di mettere a fuoco gli effetti che detta novazione spiega sul sistema della responsabilità da reato dell’ente: dopo una breve analisi della fattispecie di indebita destinazione di denaro o cose mobili (infra § 2), ci si soffermerà sull’illecito amministrativo dipendente da questo reato (infra § 3), che nel sistema 231 pare correre su un binario a “scartamento ridotto” se paragonato a quello del Codice penale, per concludere poi con una riflessione circa i reati di peculato nel campo della responsabilità da reato dell’ente (infra § 4).
- Il reato-presupposto di Indebita destinazione di denaro o cose mobili, art. 314-bis c.p.
Il delitto di Indebita destinazione di denaro o cose mobili trova collocazione sistematica all’art. 314-bis c.p. ovvero tra i reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, precisamente dopo il reato di peculato. Esso prevede che “Fuori dei casi previsti dall’articolo 314, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, li destina ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità e intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea e l’ingiusto vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto sono superiori ad euro 100.000”.
Questa fattispecie appare come un mosaico, composto con le tessere dell’(abrogato) abuso d’ufficio e del peculato. Dal primo ripete il coefficiente soggettivo (il dolo intenzionale), la condotta (la distrazione della res, specificazione di una possibile violazione di legge o regolamento) e l’evento (l’ingiusto vantaggio e l’ingiusto danno); dal secondo, invece, il presupposto della condotta tipica (il possesso o la disponibilità della res in ragione dell’ufficio ricoperto dell’autore del reato). Da ambedue, poi, il soggetto attivo ovvero il pubblico ufficiale e l’incaricato di pubblico servizio e la forma attiva della condotta, mentre non residua più alcuno spazio per quella omissiva, prevista invece dall’art. 323 c.p. Infatti, stante la clausola di riserva che apre il precetto, pare che il delitto in parola possa figurare una condotta di peculato per distrazione visto che il disvalore del fatto viene concentrato nella destinazione della res ad uno scopo diverso da quello a cui era stata destinata da una legge o da un atto avente forza di legge.
Ed è qui che aggalla un profilo della fattispecie in commento che occorre evidenziare: essa vincola l’illiceità della condotta alla violazione di “specifiche disposizioni di legge” e degli atti ad essa equiparati, da cui, però, “non residuano margini di discrezionalità” per il pubblico ufficiale e l’incaricato di pubblico servizio.
Al di là del mancato rinvio ai regolamenti, a cui, invece, rinviava l’abrogato art. 323 c.p., e dell’aggettivazione, tautologica e verbosa, delle disposizioni di legge – sarebbe interessante capire quando una di queste che impieghi delle risorse non sia specifica – emerge che lo spazio di rilevanza penale del fatto è minore di quello coperto dall’abuso di ufficio e che il precetto vuole selezionare quelle condotte distrattive del pubblico agente attraverso un meccanismo molto singolare.
La legge, il decreto legislativo e il decreto-legge devono destinare delle risorse (denaro o altra cosa mobile altrui) ad uno scopo e su questa destinazione chi riveste una qualifica pubblicistica, es. un amministratore locale o un dirigente pubblico, non deve avere “margini di discrezionalità” circa il loro impiego. Pertanto, deriva che il delitto di indebita destinazione di denaro o cose mobili si possa configurare laddove il pubblico ufficiale non possa esercitare un potere discrezionale e, di converso, che laddove tale potere possa essere esercitato la fattispecie non possa perfezionarsi, dato che viene a mancare uno dei presupposti giuridici della condotta distrattiva.
Sarebbe, poi, da chiedersi se tale discrezionalità debba essere amministrativa e/o tecnica, quale ruolo possano avere le fonti subordinate alla legge nell’integrazione di quelle “specifiche disposizioni di legge” a cui l’art. 314-bis c.p. rinvia così come cosa è da intendersi esattamente per “uso diverso da quello previsto”. Insomma, l’incriminazione di nuovo conio si segnala per diversi spunti problematici, tra cui quello di prevedere due fattispecie, non congruenti fra loro sia per oggetto del reato sia per i presupposti che concedono la rilevanza penale al fatto.
L’art. 314-bis c.p., infatti, prevede una fattispecie base e una aggravata.
La prima si configura quando il fatto è commesso a danno di un interesse domestico, quindi l’oggetto della condotta è il denaro o altra cosa mobile altrui della pubblica amministrazione italiana, e non prevede limiti-soglia per la sua rilevanza penale. Viceversa, l’ipotesi aggravata si perfeziona quando l’offesa ricade sugli interessi finanziari dell’Unione europea e il vantaggio o il danno ingiusto è superiore ad euro 100.000,00, con la conseguenza di rendere penalmente irrilevanti i fatti che ne arrecano uno inferiore a detta soglia, fissata dalla direttiva PIF.
Ed è proprio l’indebita destinazione di denaro o cose mobili aggravata che costituisce il reato-presupposto atto ad integrare il nuovo l’illecito previsto dall’art. 25, comma 1 del Decreto 231.
- Il correlato illecito 231 “a scartamento ridotto”: l’imputazione del fatto all’ente solo se offende gli interessi finanziari dell’Unione europea
Come anticipato, la legge 8 agosto 2024, n. 112, ha modificato l’art. 25 del d.lgs. n. 231/2001, innovando sia la rubrica, con l’inserimento del delitto in parola, sia il comma 1, che ad oggi così dispone: “In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 318 […] del codice penale, si applica la sanzione pecuniaria fino a duecento quote. La medesima sanzione si applica, quando il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea, in relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 314-bis e 316 del codice penale”.
La lettura della norma fa subito notare come questo illecito amministrativo sia a “scartamento ridotto”, sotto il punto di vista sia dell’oggettività giuridica tutelata sia del soggetto attivo.
Sotto il primo punto di vista, la fattispecie corporativa si perfeziona solo quando il denaro o gli altri beni mobili sono l’oggetto di uno dei reati-presupposto di peculato (peculato, indebita destinazione di denaro o cose mobili – recte peculato per distrazione – e peculato mediante profitto dell’errore altrui) e danneggiano gli interessi finanziari dell’Unione europea in misura superiore a euro 100.000,00.
Questa opzione legislativa, da un canto, mira a restringere l’area della responsabilità da reato dell’ente, mentre, dall’altro, crea una distonia tra i diversi, ma contigui, ambiti di rilevanza dei reati-presupposto ivi menzionati.
Infatti, se il peculato (art. 314 c.p.) non ha un limite soglia che determina la rilevanza penale del fatto, il peculato mediante profitto dell’errore altrui (art. 316 c.p.) e il peculato per distrazione (art. 314-bis c.p.) lo prevedono con la conseguenza di articolare l’illecito amministrativo da questi dipendente in maniera incoerente. Incoerenza che si ripete nell’ordinamento interno dall’ordinamento europeo (è la direttiva PIF a fissare la soglia di euro 100.000,00) e si manifesta allorché il peculato su risorse dell’Unione europea integra sempre un illecito corporativo, mentre le altre due fattispecie afferenti al medesimo tipo solo se superano detta soglia; difformità che pare non giustificarsi totalmente per la diversa modalità di lesione del peculato (reato a forma libera) e del peculato per distrazione (reato a forma vincolata) e quindi per un diverso disvalore di azione fra le due fattispecie né tantomeno per il disvalore di evento, che è omogeneo, offendendo entrambi il medesimo bene giuridico.
Sembra, quindi, potersi arguire che il self-restraint dell’art. 25 del Decreto 231 voglia evitare che l’ente venga tratto a processo per fatti che nella sostanza non arrecano un danno rilevante agli interessi dell’Unione europea, affidandone la repressione al circuito amministrativo.
Il secondo dato che rileva riguarda il soggetto attivo del reato-presupposto di nuovo conio e del correlato illecito corporativo. L’art. 314-bis c.p. è un reato proprio del pubblico ufficiale e dell’incaricato di pubblico servizio, mentre gli autori dell’illecito corporativo – ex art. 5 d.lgs. n. 231/2001 – possono essere i soggetti che rivestono una posizione apicale nella compagine organizzativa dell’ente oppure coloro che sono sottoposti alla loro direzione o vigilanza. Il soggetto attivo dei due illeciti, quindi, può coincidere allorché l’ente sia un ente pubblico economico oppure partecipato da una pubblica amministrazione o ancora in controllo pubblico, mentre non coincide quando l’ente è un ente di diritto privato data l’incompatibilità tra qualifica pubblicistica e qualifica corporativistica.
Allora, per evitare che i fatti di peculato previsti nel Decreto 231 vengano privati di efficacia preventiva, si potrebbe seguire la strada del concorso nel reato proprio ex art. 117 c.p. per cui nel reato-presupposto del pubblico ufficiale (intraneus) dovrebbe concorre l’apicale (extraneus) così che il concorso di quest’ultimo nella realizzazione del reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili garantisca il rispetto del parametro di imputazione oggettiva dell’illecito 231 in capo all’ente nel cui interesse o per il cui vantaggio è stato commesso il reato previsto dall’art. 314-bis c.p.
- Conclusioni. I reati di peculato nel sistema 231
Lo “scartamento ridotto” su cui corre la punibilità dell’illecito amministrativo previsto dall’art. 25, co. 1 d.lgs. n. 231/2001 in rapporto al reato-presupposto di cui all’art. 314-bis c.p. c.p. permette di svolgere alcune considerazioni circa i reati di peculato nel sistema 231, tra cui quest’ultimo può annoverarsi.
In primo luogo si deve notare che questi illeciti sono incentrati esclusivamente sulla condotta del pubblico agente e si perfezionano senza il contributo del privato, diversamente da quanto accade nei delitti di corruzione, che si consumano con l’accordo tra pubblico ufficiale e privato; ed è per tale ragione che l’art. 321 c.p. estende anche al corruttore le pene previste per il corrotto. Già questa prima considerazione segnala che se in quelli corruttivi il soggetto corruttore e il soggetto apicale possono coincidere, in quelli di peculato – come già emerso – essi tendono a divergere e richiedono di costruire l’imputazione attraverso l’istituto del concorso nel reato proprio ex art. 117 c.p.
Per quanto questa strada paia l’unica che possa superare tale divergenza, essa solleva poi la problematica di quale ruolo debba rivestire il pubblico agente nel sistema 231, visto che negli enti di diritto privato rifugge da qualsiasi qualifica ex artt. 5, 6 e 7 d.lgs. n. 231/2001 e pure far leva sull’art. 8, che stabilisce l’autonomia della responsabilità dell’ente, sembra improprio, considerato che l’autore del reato viene identificato e – in linea teorica – non è non imputabile.
Inoltre, valga considerare che dal progetto di ricerca I vent’anni del d.lgs. n. 231/2001: evidenze empiriche e prospettive di riforma, i cui esiti sono pubblicati nel volume a cura di F. Centonze e S. Manacorda, Verso una riforma della responsabilità da reato degli enti. Dato empirico e dimensione applicativa, il Mulino, 2023 è emerso un unico caso in vent’anni di vigenza del Decreto 231 in cui è stato contestato l’illecito amministrativo dipendente dal reato di peculato, che peraltro non è neanche arrivato a sentenza.
Naturalmente questo non vuole dire che la fattispecie corporativa sia inefficace, ma rappresenta certamente un dato di cui tener conto soprattutto se si vuole che i frequenti rimaneggiamenti all’art. 25 del Decreto 231 abbiano un senso ulteriore rispetto al mero recepimento formale di obblighi di criminalizzazione, soprattutto con riferimento ai reati-presupposto afferenti al Typus del peculato, che costituiscono illecito ammnistrativo dell’ente solo quando offendono gli interessi finanziari dell’Unione europea.
In conclusione, il legislatore potrebbe prestare maggiore attenzione quando per coprire i vuoti di tutela (introduzione del reato di Indebita destinazione di denaro o cose mobili) che egli stesso crea (abrogazione del reato di abuso di ufficio) e che vanno a disattendere degli obblighi di criminalizzazione (ritenuti adempiuti da quest’ultimo) interviene nel corpo del Decreto 231.