“L’arte dispersa: il quadro giuridico e la recente casistica per il recupero dei beni culturali”
di Serena Sancataldo, dottoranda di ricerca in diritto penale
1. Introduzione e saluti istituzionali
Il 15 Novembre 2024, presso la Fondazione Banco di Napoli, si è svolto il seminario “L’arte dispersa: il quadro giuridico e la recente casistica per il recupero dei beni culturali” promosso dalla UNESCO Chair on Business Integrity and Crime Prevention in Art and Antiquities Market – Chair Holder Prof. Stefano Manacorda (Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli) e dalla Fondazione Banco di Napoli, presieduta dal Prof. Orazio Abbamonte (Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli), in collaborazione con la Fondazione Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale (CNDPS) e l’International Scientific and Professional Advisory Council of the United Nations Crime Prevention and Criminal Justice Programme (ISPAC).
L’evento ha costituito un’importante occasione di confronto tra accademici, autorità istituzionali, esponenti della magistratura e giuristi sulla complessa tematica del recupero dei beni culturali trafugati ed esportati illecitamente. L’analisi di casi emblematici, come l’Atleta Vittorioso di Lisippo e il Doriforo di Stabia ha arricchito il dibattito sollevando interrogativi fondamentali sulla tutela del patrimonio culturale e mettendo in luce profili problematici legati alla sottrazione e al recupero di beni di inestimabile valore, con una particolare attenzione al ruolo sempre più rilevante giocato dall’impiego di misure penali, in primis la confisca e il sequestro, in tale ambito.
Ad aprire la welcome session è stato il Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, il Prof. Raffaele Picaro, che ha sottolineato l’importanza delle iniziative svolte dalla UNESCO Chair on Business Integrity and Crime Prevention in Art and Antiquities Market e dalla Fondazione Banco di Napoli nella sensibilizzazione delle nuove generazioni nei confronti della tutela del patrimonio culturale quale responsabilità condivisa, sottolineando il ruolo che l’educazione e la formazione ricoprono nel promuovere una cultura della legalità e della consapevolezza.
Il Prof. Orazio Abbamonte (Presidente della Fondazione Banco di Napoli) è successivamente intervenuto offrendo importanti spunti di riflessione circa l’unicità del patrimonio culturale nazionale e la responsabilità delle generazioni future nella preservazione di tali beni. A questa riflessione si è unito il Capitano Massimo Esposito (Maggiore del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Napoli) che ha ribadito la natura del patrimonio culturale come “res publica”. Sono stati dunque citati fenomeni come la distruzione di beni culturali e naturali in quanto allarmanti indicatori della crescente minaccia che il patrimonio culturale su scala nazionale e globale affronta.
Si è oltretutto sottolineato come i massicci interventi di recupero portati avanti dal TPC rappresentino simultaneamente un successo quanto la diretta conseguenza della persistente problematica di impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato.
La welcome session si è conclusa con i ringraziamenti da parte del Prof. Stefano Manacorda verso i co-organizzatori dell’evento. Nel lasciare la parola agli altri relatori, il Prof. Manacorda ha riflettuto sul ruolo crescente del diritto penale nel contrasto a fenomeni illeciti di dispersione del patrimonio culturale, un trend che non si risolve in una sterile invocazione di un maggior ricorso allo strumento penale, diffuso in ampi settori della società, ma che si pone quale superamento della pregressa banalizzazione del fenomeno e del sostanziale disinteresse penalistico per la tematica.
2. “Ritorno e restituzione dei beni culturali dispersi nella prospettiva internazionale”
La sessione delle relazioni si è aperta con l’intervento del Prof. Manlio Frigo (Ordinario di Diritto della Comunità internazionale e dell’Unione europea presso l’Università degli Studi di Milano), in cui è stato illustrato il complesso quadro normativo relativo alla restituzione dei beni culturali dispersi, analizzando le principali convenzioni internazionali e gli sviluppi normativi in tale ambito. Il Prof. Frigo ha dato conto di come il diritto internazionale, attraverso strumenti giuridici come la Convenzione dell’UNESCO del 1970, abbia cercato di rispondere alle sfide legate alla circolazione illecita di beni culturali.
All’interno dell’analisi condotta, sono state messe in evidenza alcune delle problematiche chiave inerenti alla restituzione di beni culturali quali l’inalienabilità delle collezioni pubbliche o ancora la non retroattività delle norme internazionali.
Altro nodo attorno a cui si è sviluppato l’intervento del Prof. Frigo è stato il ruolo giocato dalla diplomazia culturale nell’aprire un dialogo costruttivo attorno a casi di particolare complessità. Tra i casi citati si ricorda la restituzione alla Libia di reperti ellenistici trafugati durante l’occupazione coloniale italiana, menzionato come importante esempio di atto di riparazione storica o la restituzione sotto forma di prestito sine die dei volumi coreani trafugati dalle truppe francesi nel 1886.
3. “Il Doriforo di Stabia e la cooperazione giudiziaria internazionale”
Proseguendo, il Dott. Nunzio Fragliasso (Procuratore della Procura della repubblica presso il Tribunale di Torre Annunziata) con la sua presentazione ha illustrato l’affascinante e controverso caso della copia romana del Doryphoros di Polykletos, rinvenuta nel 1975 durante la costruzione di un asilo nido presso Castellammare di Stabia. Nel corso della presentazione il Procuratore Fragliasso ha ricostruito con dovizia di particolari le varie tappe che hanno scandito l’illecita immissione nel mercato e la conseguente acquisizione da parte di diversi musei di quest’opera dal valore inestimabile. Viene infatti specificato come il Doriforo sia stato sottratto illegalmente dal sito di provenienza per essere poi trasferito attraverso più paesi e successivamente venduto. Nella ricostruzione del percorso fatto dalla statua, si sottolinea il suo iniziale trasferimento in Svizzera seguito dal passaggio in Germania, dove venne poi esposta alla Gliptoteca di Monaco di Baviera. A seguito della tensione mediatica scatenata dall’esposizione della statua, la quale riportava come origine Castellammare di Stabia, la magistratura tedesca ne dispone il sequestro. Successivamente, l’opera viene dissequestrata e trasferita in Israele per venire acquistata successivamente dal Museo di Minneapolis.
Nell’analisi delle vicende, il Procuratore Fragliasso ha messo in luce alcuni elementi chiave: si veda, ad esempio, il coinvolgimento di un noto mercante d’arte nella gestione delle operazioni, la testimonianza del restauratore, così come la perizia delle autorità tedesche, che, sulla base di alcune tracce rinvenute sulla superficie della statua, sostenevano che l’opera provenisse da sotto terra, rafforzando l’ipotesi della sua origine illecita.
Inoltre, tra gli altri elementi emerge l’esistenza di alcuni documenti interni al Museo di Minneapolis, in cui i funzionari del museo rivelano di essere consapevoli dell’origine clandestina della statua e nonostante ciò di minimizzare la verità. Come indicato in una comunicazione interna, si suggeriva infatti di non parlare della sua origine italiana, ma piuttosto di registrarla come proveniente da Monaco.
Risulta dunque evidente come attraverso il racconto e l’analisi di questo caso sia stato possibile giungere ad una riflessione critica rispetto al ruolo ricoperto da musei ed istituzioni che involontariamente (o meno) si rendono complici di un sistema internazionale di commercio di opere dalla dubbia provenienza.
4. “L’affaire du Louvre. Questioni penalistiche e il rapporto promosso dal Ministero della cultura francese”
I lavori sono poi proseguiti con la relazione dell’Avv. Amélie Tripet (avvocato presso August Debouzy Law Firm di Parigi), inerente al tema del coinvolgimento di musei nell’acquisizione di opere dalla provenienza incerta. In particolare, si è dato conto di una vicenda che ha attirato l’attenzione mediatica stimolando il dibattito internazionale circa la formazione del personale addetto all’acquisizione di nuove opere e al rispetto degli obblighi di due diligence. Infatti, nel 2018, divenne virale di una foto di Kim Kardashian al Met Gala, in cui appariva accanto al sarcofago dorato di Nedjemankh. L’opera, acquistata dal Metropolitan Museum per 4 milioni di dollari, si rivelò essere stata rubata in Egitto nel 2011. La documentazione fornita dalla casa d’aste parigina, che aveva intermediato la vendita, fu successivamente smascherata come falsa, e, a seguito di queste verifiche, il Met fu costretto a restituire il sarcofago all’Egitto il 1° ottobre 2019.
L’inchiesta, che ebbe inizio grazie a un’informazione anonima che rivelò l’origine illecita del sarcofago, portò alla scoperta di un traffico molto più ampio di reperti rubati da paesi in conflitto, come Egitto, Libia, Siria e Yemen. L’indagine coinvolse numerosi professionisti del settore, tra cui curatori e case d’aste francesi, e svelò che anche musei di prestigio, come il Met e il Louvre di Abu Dhabi, avevano acquistato questi beni senza essere a conoscenza della loro provenienza illecita. Come specificato dalla relazione, tale evento ha reso esplicita la necessità di implementare attività volte a garantire maggiore trasparenza e professionalità nelle procedure di acquisizione.
5. “L’atleta vittorioso di Lisippo: il procedimento penale e la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo”
Il Prof. Stefano Manacorda è poi intervenuto proponendo un approfondimento in cui è stata esaminata il noto caso riguardante la statua attribuita allo scultore greco Lisippo e risalente al periodo ellenistico.
Ripercorrendo la vicenda sin dal suo ritrovamento, avvenuto nel 1964 nel mare Adriatico da pescatori italiani nei pressi di Pedaso, la relazione ha delineato i principali spostamenti della statua. Dopo essere stata inizialmente trasportata a Fano, essa fu nascosta e ceduta a mercanti d’arte, finendo successivamente in Germania, a Monaco di Baviera. Nel 1977, la statua entrò infine a far parte della collezione del Getty Museum di Malibu dove tuttora si trova.
Quindi la presentazione si è soffermata sull’analisi delle tappe dei procedimenti penali avviati in Italia in relazione a tale ritrovamento e alla successiva esportazione della statua. Inizialmente, le indagini condotte della Procura di Perugia portarono ad ipotizzare il reato di ricettazione per i soggetti coinvolti. Tuttavia, nel 1970 il procedimento si concluse, con l’assoluzione da parte della Corte d’appello di Roma per mancanza di prove sul luogo di rinvenimento. In seguito, la statua riemerse in Germania, dove venne avviato un nuovo procedimento per esportazione clandestina, ma anche questa volta il caso si concluse con una sentenza di non luogo a procedere per l’impossibilità di identificare gli autori del reato.
Nel 2007 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro ha riaperto il caso, avanzando una richiesta di confisca del bene, richiesta negata in un primo momento e poi accolta nel 2010; nondimeno, tale provvedimento era in seguito annullato dalla Corte di Cassazione per mancanza di pubblicità nel procedimento. Dopo una nuova serie di impugnazioni e udienze, nel 2018 il tribunale di Pesaro ha confermato la confisca della statua e l’anno seguente anche la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità della misura, fondata sull’esportazione illegale del bene. Su tale base, nel 2019 è stata avviata la richiesta di “exequatur” della sentenza in base agli accordi internazionali, per fare eseguire il provvedimento di confisca negli Stati Uniti.
Come precisato all’interno della relazione, anche la Corte EDU si è espressa sul caso, respingendo il ricorso del Getty e affermando che non vi è stata violazione dell’art. 1 Prot. n. 1 CEDU. La Corte ha oltretutto sottolineato come l’acquisto della statua sia stato portato a termine nonostante l’evidente rischio legato alla sua provenienza illecita, portando ad eliminare l’ipotesi di “acquirente di buona fede”. In fine, la Corte ha dichiarato la confisca della statua compatibile con l’interesse pubblico alla protezione del patrimonio culturale italiano.
6. Gli strumenti penali e il ricorso alla confisca
Il caso presentato dal Prof. Manacorda ha dunque creato i presupposti per poter condurre a una più approfondita riflessione sul tema della confisca, tenuta dalla Prof.ssa Anna Maria Maugeri (Ordinaria di Diritto penale presso l’Università di Catania). La Prof.ssa ha dedicato particolare attenzione alla riforma del 2022, introdotta dalla legge n. 22, la quale ha ampliato significativamente l’ambito della “confisca allargata” e della confisca per equivalente, modificando l’articolo 240-bis del codice penale.
Ci si è poi soffermati sull’articolo 518-duodevicies, il quale stabilisce che il giudice deve disporre la confisca delle cose oggetto del reato, a meno che non appartengano a terzi estranei. Come specificato dalla relatrice, tale disposizione mira a garantire una protezione più rigorosa dei beni culturali, stabilendo che anche i manufatti culturali rinvenuti nel sottosuolo o nei fondali marini debbano essere tutelati. Dunque, la riforma è stata vista come necessaria per risolvere le disparità di trattamento tra beni culturali oggetto di illecita esportazione e quelli di impossessamento illecito, garantendo così una confisca obbligatoria e non più facoltativa.
La relazione della Prof.ssa Maugeri ha inoltre sottolineato la natura restitutiva e riparatoria della confisca, non da intendersi dunque come mero strumento punitivo e a cui dunque non si applica il principio di gradualità. È stata quindi ribadita l’importanza di un approccio che consideri sia la protezione del patrimonio culturale sia i diritti degli individui coinvolti. Di conseguenza, è stato possibile tracciare una connessione con la sentenza del 2019 riguardante il caso del Getty Museum, che ha stabilito la confisca come atto volto a restituire il bene illecitamente esportato al suo legittimo titolare, la collettività.
7. Conclusioni
Il seminario ha rappresentato un’importante opportunità di riflessione sullo stato attuale della tutela del patrimonio culturale e sul complesso sistema giuridico volto al recupero dei beni trafugati.
L’analisi dei casi proposti non solo ha restituito una dimensione concreta degli argomenti trattati, ma ha oltretutto messo in luce la rilevanza di norme internazionali e nazionali, così come la necessità di una maggiore trasparenza e di un impegno continuo per garantire la protezione del nostro patrimonio.
L’auspicio è che le discussioni odierne possano contribuire ad alimentare una maggiore consapevolezza e a promuovere politiche sempre più efficaci per la salvaguardia del patrimonio culturale.