La Cassazione torna sulla (in)applicabilità all’ente della non punibilità per particolare tenuità del fatto
di Megi Trashaj, Assegnista di ricerca; Avvocato
Dall’entrata in vigore del d.lgs. 231/2001, diversi sono i problemi che la prassi ha affrontato con riferimento alla possibilità di estendere alla persona giuridica istituti che il codice penale dedica alla responsabilità delle persone fisiche.
Tra gli altri, controversa è la questione sull’applicabilità della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto alle corporations qualora il reato presupposto soddisfi le condizioni previste dall’art. 131 bisc.p. e rispetto al quale, quindi, la persona fisica sia ritenuta dal giudice non meritevole di sanzione.
Da ultimo su questo tema si è soffermata la Corte di Cassazione, Sez. III, ud. 10 luglio 2027, dep. 10 ottobre 2024, n. 37237, la quale ha affermato l’inapplicabilità per l’ente dell’art. 131 bis c.p.
1. La vicenda giudiziaria
Nel 2023 il Tribunale di Sassari assolveva ex art. 131 bis c.p., ovvero applicando la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, l’apicale (direttore tecnico e amministrativo) dell’ente – una s.r.l. – dal reato di cui all’art. 256, co. 1, del d.lgs. 152/2006 (Attività di gestione di rifiuti non autorizzata).
Per gli stessi motivi veniva emessa sentenza assolutoria nei confronti della società, alla quale era stato addebitato l’illecito di cui all’art. 25 undecies del d.lgs. 231/2001.
Sia la persona fisica che l’ente proponevano, tramite i loro difensori, ricorso per Cassazione.
L’autore dell’asserito reato presupposto rilevava che il Tribunale avrebbe dovuto assolverlo con una formula più favorevole di quella applicata.
Evidenziava che la condotta tenuta, lungi dall’assumere rilievo penale, avrebbe potuto essere (al massimo) considerata un illecito amministrativo. L’imputato, infatti, sosteneva che la gestione del centro raccolta di rifiuti era esercitata, in virtù di un contratto di appalto, in modo regolare e con tutte le autorizzazioni del caso. Per i (soli) primi due mesi di attività è mancata l’adozione della contabilizzazione di rifiuti in ingresso e in uscita, violazione, quest’ultima, di irrilevanza penale e riguardante gli obblighi di comunicazione e di tenuta dei registri e dei formulari (ex art. 258 del d.lgs. 152/2006).
L’ente, a sua volta, lamentava che il Tribunale, prima di applicare la non punibilità per particolare tenuità del fatto, avrebbe dovuto argomentare in merito alla sussistenza del reato presupposto ascritto alla società e riteneva che il reato, per i motivi sopra esposti, non potesse dirsi configurato nel caso di specie.
Contestava, inoltre, il mancato accertamento del «vantaggio» dell’ente rispetto alla violazione addebitata alla persona fisica, carenza che, al contrario, avrebbe comportato maggiori costi per la società, la quale si sarebbe fatta carico, in presenza della violazione, di un quantitativo superiore di rifiuti rispetto a quello oggetto di appalto.
Nella sentenza adottata dalla Corte di Cassazione assume rilevanza centrale l’applicabilità (o meno) all’ente della causa di non punibilità per particolare tenuità del reato presupposto.
Tuttavia, prima di analizzare in dettaglio la pronuncia e dunque di guardare alla soluzione adottata dal giudice di legittimità, si ritiene opportuno compiere un passo indietro per fornire un inquadramento generale dell’istituto dell’art. 131 bis c.p. e delle questioni che sorgono in relazione alla possibile applicazione dello stesso, oltre che alla persona fisica, alla società.
2. La disciplina di riferimento
L’istituto della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto è stato introdotto nella parte generale del codice penale (art. 131 bis c.p.) con il d.lgs. 28/2015. Sono ricalcate, in via approssimativa, regole già presenti in ambito minorile (DPR 44/1988) e quelle previste per reati di competenza del giudice di pace (d.lgs. 274/2000). Trattasi, tecnicamente, di una causa di non punibilità che dunque presuppone, per essere applicata, l’avvenuto accertamento del reato in tutte le sue componenti.
Sintetizzando i presupposti per l’applicazione dell’art. 131 bis c.p. (e rinviando al testo normativo per gli ulteriori dettagli), giovano della causa di non punibilità i reati consumati o tentati punibili con pena detentiva «non superiore nel minimo a due anni» (o pena pecuniaria sola o congiunta a quest’ultima) e che, per le modalità della condotta o l’esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi con i criteri di cui all’art. 133 c.p., presentino, in concreto, una particolare tenuità dell’offesa, e il comportamento non sia abituale. Alla disciplina generale prevista dal primo comma, seguono una serie di eccezioni, che limitano l’applicabilità dell’istituto in ipotesi ritenute di particolare allarme sociale. Queste eccezioni fanno riferimento alle modalitàdella condotta (si pensi al richiamo ai motivi abietti o futili, alla crudeltà oppure al fatto che l’autore abbia profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima), alle conseguenze della stessa (per cui la clausola non è applicabile se si è verificata la morte o le lesioni gravissime di una persona), oppure alle circostanze in cui essa è stata tenuta (si veda in tal senso la restrizione prevista per azioni tenute durante manifestazioni sportive). Non solo, il legislatore limita l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. al verificarsi di un ampio catalogo di reati specificatamente elencati (tra i quali quelli in materia di corruzione o con sfondo sessuale).
L’istituto, presenta significative correlazioni con il principio di offensività. In questo caso l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma è sicuramente presente in concreto, dunque, il fatto tipico si può dire interamente realizzato e, tuttavia, il legislatore ritiene non sia opportuna la risposta sanzionatoria, perché il grado di offensività è ridotto. Non si tratta quindi di un caso di «inoffensività» del fatto (per il quale si deve affermare in radice la non sussistenza del reato) ma di una «irrilevanza del fatto» per effetto di valutazioni politico-criminali orientate alla depenalizzazione in concreto di condotte ad offensività significativamente attenuata o ridotta (cfr. Relazione al d.lgs. 28/2015, par. 1-6).
Con questa regola, in forza dei principi di proporzione e di economia processuale, è stata introdotta nell’ordinamento una «depenalizzazione in concreto» alla luce del principio penale di extrema ratio(Relazione al d.lgs. 28/2015, par. 1-6) che impone di «espungere dal circuito penale fatti marginali, che non mostrano bisogno di pena» (Cass. pen. 13681/2016).
Come sovente si verifica, il legislatore non si è preoccupato di coordinare la disciplina dettata per le persone fisiche a quella delle persone giuridiche, generando una situazione di incertezza, come è accaduto anche, ad esempio, relativamente all’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato (sul punto si vedano i precedenti post qui e qui).
Rispetto alla particolare tenuità del fatto, sembra venire in rilievo l’art. 8 del d.lgs. 231/2001, volto a regolare il caso in cui, dinnanzi all’accertamento giudiziale di un reato, all’autore dell’illecito non risulti applicabile la pena prevista dal legislatore per il reato posto in essere.
La norma disciplina l’autonomia della responsabilità dell’ente rispetto a quella della persona fisica e prevede la rimproverabilità della corporation anche qualora:
- l’autore del reato non sia stato identificato nell’ambito del procedimento penale (art. 8, co. 1, l. a);
- la persona fisica che ha realizzato la condotta illecita sia risultata non imputabile (art. 8, co. 1, l. a);
- il reato si sia estinto per causa diversa dall’amnistia (art. 8, co. 1, l. b).
La ratio della disposizione è chiarita dalla relazione illustrativa del d.lgs. n. 231/2001, secondo cui «le cause di estinzione della pena […], al pari delle eventuali cause di non punibilità e, in generale, alle vicende che ineriscono a quest’ultima, non reagiscono in alcun modo sulla configurazione della responsabilità in capo all’ente, non escludendo la sussistenza di un reato» perché gli illeciti dell’individuo e della società sono «concettualmente distinti».
D’altra parte, però, è utile segnalare che le «cause di non punibilità», pur menzionate dalla relazione illustrativa, non sono testualmente indicate nella lettera dell’art. 8 del d.lgs. n. 231/2001. Proprio alla luce di questo elemento, taluni ritengono che l’applicazione dell’art. 131 bis c.p. possa estendersi anche alla persona giuridica.
3. La giurisprudenza in materia
La giurisprudenza di merito (sulla quale ci si è soffermati anche in un precedente post) si è mostrata indubbiamente più propensa di quella di legittimità ad affermare l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. anche alla persona giuridica.
Oltre alla sentenza del 2023 del Tribunale di Sassari, contro la quale è stato proposto il ricorso nel caso in esame, si possono ricordare le pronunce del Tribunale di Milano, sezione X penale, n. 677 del 23 gennaio 2018 (depositata il 7 febbraio 2018) e sezione X penale, n. 13402 del 27 novembre 2018 (depositata il 10 gennaio 2019), entrambe relative all’illecito di cui all’art. 25 undecies d.lgs. 231/2001.
La giurisprudenza in questione, rilevata la scarsa offensività dell’illecito, conclude per l’applicabilità anche nei confronti della corporation dell’istituto della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Le argomentazioni a favore di questa soluzione sono molteplici.
In primo luogo, il d.lgs. 28/2015 è norma successiva rispetto al d.lgs. 231/2001, quindi la disciplina del 2015, per il criterio temporale, sarebbe idonea a dettare disposizioni innovative rispetto a quelle del 2001. In secondo luogo, le cause di non punibilità non sono espressamente menzionate dall’art. 8 del d.lgs. 231/2001, dunque rappresenterebbe un’interpretazione in malam partem quella diretta a escludere l’applicabilità dell’artt. 131 bis c.p. all’ente. Infine, sanzionare la società per fatti bagatellari significherebbe sacrificare le finalità che il legislatore si è posto con l’introduzione del 131 bis c.p. cioè quelle di “cancellare” dal circuito penale fatti marginali.
La Corte di Cassazione, al contrario, tende ad escludere l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. all’ente.
Si registrano tre precedenti conformi, tutti pronunciati in procedimenti instaurati per l’illecito di cui all’art. 25 undecies d.lgs. 231/2001. Trattasi delle sentenze n. 9072 del 17 novembre 2017, n. 1420 del 10 luglio 2019 e n. 11581 del 23 gennaio 2019.
Stando al ragionamento della Corte, la sentenza di applicazione della causa di non punibilità ex art. 131 bisc.p., pur producendo effetti sotto il profilo sanzionatorio, non “travolge” l’esistenza del reato, che, dinnanzi ad un’eventuale assoluzione ex art. 131 bis c.p., resta provato nella sua sussistenza storica e giuridica.
Sarebbero, dunque, la differenza e l’autonomia tra la responsabilità penale (individuale) e quella amministrativa dell’ente (per colpa di organizzazione) a giustificare il diverso trattamento sanzionatoriodinnanzi ai fatti bagatellari.
4. La decisione della Corte
Con riferimento al caso in analisi, la Corte rileva, in primo luogo, che «l’impianto argomentativo della sentenza impugnata è quasi interamente incentrato sulla verifica dei presupposti applicativi dell’art. 131 bis cod. pen., mentre all’analisi circa la sussistenza del reato ascritto [alla persona fisica] e [alla] configurabilità dell’illecito amministrativo contestato alla società […] sono dedicati solo pochi righi […] peraltro non di agevole intellegibilità».
Ne deriva che la sentenza impugnata è affetta da un vizio di motivazione. Il Giudice di merito, infatti, «prima di affrontare il tema del riconoscimento della particolare tenuità del fatto» avrebbe dovuto accertare la sussistenza degli illeciti soffermandosi – in modo articolato e preciso – sia «sulla prova della colpevolezza della persona fisica» ma anche della «responsabilità amministrativa della persona giuridica».
Ciò sarebbe bastato alla Corte per l’annullamento della sentenza di merito e per il rinvio ai fini del nuovo giudizio, al Tribunale di Sassari. La Cassazione, però, si sofferma anche su quelli che saranno i parametri che dovranno guidare la decisione del giudice del rinvio.
Rilevato che la sentenza impugnata è illegittima anche nella parte in cui applica l’art. 131 bis c.p. all’ente, la Corte evidenzia che, qualora il giudice di merito riterrà accertato il reato presupposto contestato alla persona fisica e l’illecito amministrativo addebitato alla società, nei confronti di quest’ultima non sarà applicabile la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
La Cassazione, ponendosi in linea con i precedenti di legittimità sopra citati, giunge a tale conclusione «in considerazione della differenza esistente tra i due tipi di responsabilità e della natura autonoma della responsabilità dell’ente rispetto a quella penale della persona fisica che ponga in essere il reato presupposto».
«Tale autonomia», si legge nella sentenza, «esclude che l’eventuale applicazione all’agente della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto impedisca di applicare all’ente la sanzione amministrativa, dovendo egualmente il giudice procedere all’autonomo accertamento della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso».
5. Conclusioni
Diverse sono le questioni correlate alla problematica affrontata dalla sentenza analizzata, il tema dell’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. all’ente, infatti, impone di tenere in considerazione molteplici questioni: successione di leggi nel tempo, interpretazione analogica e interpretazione estensiva, analogia in bonam partem e in malam partem, principio di offensività e di extrema ratio.
Dall’evoluzione giurisprudenziale passata in rassegna, comunque, emerge una sensibilità della giurisprudenza di merito volta ad estendere la non punibilità per fatti bagatellari all’ente, d’altro canto, invece, le sentenze di legittimità restano rigidamente salde all’interpretazione opposta. Contrapposizione dinnanzi alla quale sarebbe auspicabile un intervento legislativo ad hoc volto a prendere posizione anche sull’irrilevanza (penalistica) della colpa di organizzazione per eventi di minima offensività.