La Cassazione accede a un’interpretazione sostanzialistica del MOG e chiude una nota ‘vicenda 231’ assolvendo l’ente imputato

di Anna Pampanin,  dottoranda  di  ricerca in  Diritto penale

 

  1. Introduzione

 

Con la sentenza n. 31665 del 2 agosto 2024 la Corte di Cassazione ha posto la parola ‘fine’ sulla vicenda inerente al sequestro e successivo decesso di due dipendenti di una nota società italiana operante nel settore dell’industria Oil&Gas, vittime di un assalto da parte di ignoti mentre erano al lavoro in territorio libico per conto della medesima società.

 

La Suprema Corte ha annullato la sentenza di condanna pronunciata dalla Corte d’Appello di Roma a carico della multinazionale italiana (d’ora in avanti B.B. S.p.a.), ritenendo che non fosse configurabile alcuna responsabilità ai sensi del d.lgs. 231/2001.

 

La pronuncia in commento pone l’accento su numerose questioni di rilevante interesse. Più nel dettaglio, essa si sofferma su alcuni dei temi più discussi nell’ambito della responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato. Tra questi, carattere primario rivestono i requisiti dell’interesse o vantaggio della società ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 231/2001, nonché l’idoneità del modello organizzativo ai fini dell’esenzione della responsabilità dell’ente.

 

La sentenza del Supremo Collegio introduce inoltre – pur non analizzandolo in profondità per estraneità all’oggetto del giudizio di legittimità – un tema di estrema attualità: la differenza tra safety e security dei lavoratori nell’ambito della compliance aziendale.

 

Nella presente disamina l’attenzione sarà dedicata ai profili di responsabilità che attengono alla persona giuridica, pur dando conto – quale presupposto necessario – delle posizioni individuali che hanno fondato il giudizio. Si analizzeranno, pertanto, da un lato le motivazioni strettamente giuridiche che hanno portato alla decisione assolutoria per la B.B. S.p.a.; la parte finale del contributo sarà dedicata ad un breve approfondimento in materia di gestione dei rischi endogeni edesogeni in ambito aziendale, e dunque alla differenza tra safety e security, con le annesse ricadute sulla costruzione e idoneità del MOG.

 

Prima di addentrarsi nell’analisi sostanziale delle argomentazioni proposte dai giudici di legittimità, si ritiene necessaria una premessa di carattere ‘processuale’. Come rilevato dalla Corte in apertura, nel caso che ci occupa sussiste la giurisdizione del giudice italiano, ancorché l’azione della persona fisica ritenuta responsabile sia stata posta in essere in Libia e qui si siano verificati i drammatici accadimenti che hanno portato alla morte dei lavoratori.

 

Costituisce ius receptum, infatti, che, per il principio di territorialità della legge penale di cui all’art. 6, co. 2, c.p., il reato si considera commesso nel territorio dello Stato italiano anche quando l’azione o l’omissione che lo costituisce è stata ivi realizzata soltanto in parte. Ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana in relazione ai reati commessi in parte all’estero, è sufficiente che «nel territorio dello stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta, intesa in senso naturalistico, che, seppur privo dei requisiti di idoneità e inequivocità richiesti per il tentativo, sia apprezzabile in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia a quella realizzata all’estero».

 

Più nel dettaglio, nello specifico caso del reato omissivo – come nel caso di specie – la Corte di Cassazione ha chiarito ormai da tempo che il reato omissivo colposo si considera commesso nello Stato «qualora abbia avuto luogo in tale territorio anche una sola parte della omissione causativa dell’evento».

 

Sulla base di tali assunti la pronuncia in parola ha affermato la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano in quanto l’omissione contestata ai tre componenti del Consiglio di Amministrazione della società atteneva a comportamenti (la predisposizione del DVR, ad esempio) che «si sarebbero dovuti tenere in Italia, ovvero nel luogo dove la società ha sede legale e ove opera il CdA».

 

  1. I fatti oggetto del procedimento: la vicenda giudiziaria

 

La vicenda giudiziaria – molto nota anche per l’interesse suscitato nella cronaca nazionale e internazionale – trae origine dal rapimento di quattro tecnici specializzati (lavoratori dipendenti) della B.B. S.p.a., inviati presso gli impianti della società in Libia, e sequestrati durante il trasferimento via terra che li avrebbe condotti sul posto di lavoro. Successivamente due di essi, nel corso di un conflitto armato, vennero uccisi.

 

La dinamica si colloca in un contesto di forte instabilità politica. Infatti, come emerge dalla ricostruzione processuale, nei mesi precedenti la società aveva partecipato ad una riunione presso il Ministero degli Esteri ove veniva preannunciata l’imminente chiusura dell’Ambasciata italiana per il peggioramento delle condizioni di sicurezza, e i vertici della multinazionale erano pertanto stati invitati a lasciare la Libia o, in alternativa, a elevare al massimo le misure di sicurezza. Per le medesime ragioni la stessa B.B. S.p.a. aveva trasferito gli uffici amministrativi in un cantiere protetto da servizi di sicurezza armata, peraltro dopo aver ricevuto un comunicato di pericolo imminente per il personale.

 

Secondo le indicazioni provenienti dalla società, il trasporto dei dipendenti presso il nuovo stabilimento doveva avvenire, appunto per ragioni di sicurezza, via mare; tuttavia nel caso di specie il dirigente presente in loco, figura apicale della predetta persona giuridica e operante nel ruolo di operation manager, aveva disposto che il trasporto avvenisse via terra, il che aveva consentito ai guerriglieri di porre in essere un attentato ai danni dei lavoratori che si stavano trasferendo, sequestrando quattro di loro, due dei quali poi erano deceduti.

 

In sede di merito il dirigente operativo, al quale era stata conferita la delega per la sicurezza e che godeva pertanto di autonomi poteri di spesa e gestione, nonché del potere di adottare ogni misura idonea a garantire la sicurezza dei lavoratori in quel contesto, dopo aver avuto accesso ad una sentenza di patteggiamento era stato condannato per il reato di cui all’art. 589 c.p. per aver posto in essere un antecedente causale determinante per la causazione dell’evento, ossia la morte dei lavoratori.

 

La Corte d’Appello di Roma invece – riformando la sentenza accusatoria del primo grado – aveva assolto i componenti del Consiglio di Amministrazione della società ritenendo che l’accaduto fosse ricollegabile all’iniziativa autonoma, estemporanea e improvvisa dell’operation manager presente in Libia.

Quanto alla società, la stessa era stata dichiarata responsabile – in entrambi i gradi di giudizio – dell’illecito di cui all’art. 25-septies del d.lgs. 231/2001.

Come emerge dalla lettura delle motivazioni, i profili di responsabilità a carico dell’impresa erano stati individuati secondo il seguente schema:

 

  • La B.B. S.p.a. non avrebbe adottato un modello organizzativo idoneo a prevenire decisioni imprudenti e improvvise da parte dei dirigenti pericolose per l’integrità dei lavoratori, né avrebbe predisposto un codice disciplinare volto a sanzionare le condotte contrarie a tale modello;

 

  • La società non sarebbe stata dotata di protocolli che prevedessero una puntuale formazione del personale rispetto ai rischi esogeni ed endogeni del paese in cui operavano, né di alcun documento che definisse i criteri di tracciamento degli spostamenti del personale da e per il sito libico, né, infine, di protocolli che prevedessero la formazione di figure professionali appositamente incaricate di gestire la security del personale impiegato nel sito e una specifica procedura per la prevenzione e per la gestione di sequestri di persona, eventi assolutamente prevedibili e frequenti in un’area di crisi;

 

  • Le prescrizioni relative agli spostamenti dei lavoratori nel territorio libico non avrebbero presentato i caratteri della ritualità formale e della perentorietà sostanziale a causa della mancata procedimentalizzazione del sistema, di applicazione di regole cautelari previste a tutela dei lavoratori e della loro mancata collocazione all’interno del documento di valutazione dei rischiDVR – societario;

 

  • Proprio l’assenza di formalizzazione delle procedure avrebbe consentito all’operation manager di agire con estrema disinvoltura, senza chiedere un’autorizzazione formale che legittimasse la deroga ad una regola di condotta a lui impartita. Inoltre, emblematico in tal senso sarebbe stato il comportamento delle quattro vittime, le quali non sollevarono alcuna obiezione circa il trasferimento terrestre, nell’evidente consapevolezza che esso non si traducesse nella violazione di alcun rigido protocollo.

Come già anticipato, la Corte di Cassazione si è distaccata dalla ricostruzione effettuata dal Giudice di merito, e ha ribaltato il verdetto di colpevolezza a carico della società.

 

 

  1. I motivi della decisione assolutoria

 

La IV Sezione della Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso proposto dalla B.B. S.p.a. e ha annullato senza rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Roma.

 

Con la pronuncia in parola la Suprema Corte ha ribadito l’adozione di un recente orientamento giurisprudenziale, che si è consolidato nelle aule di giustizia a partire dalla famosa sentenza che ha concluso la c.d. vicenda Impregilo (Cfr., Cass.pen., Sez. IV, n.23401/2022).

 

Il percorso argomentativo delineato dagli ermellini, strutturato secondo gli snodi che verranno meglio analizzati nel prosieguo, esplicita la necessità di seguire un criterio sostanzialistico nell’accertamento della colpevolezza in capo alle persone giuridiche, onde evitare pericolosi automatismi che consentano di addebitare la responsabilità per il solo fatto «che un reato è stato commesso nell’ambito dell’organizzazione societaria». Infatti, come sottolineato dal Collegio, l’errore logico in cui è incorsa la sentenza di secondo grado è stato proprio quello «di inferire la responsabilità dell’ente dallo sporadico comportamento tenuto dal dirigente», ovvero da una figura apicale «avente autonomi poteri di gestione e di spesa» e quindi «di trasgressione alle prescrizioni ricevute», nonostante la società avesse correttamente adottato, prima della commissione dell’illecito, un modello organizzativo idoneo a prevenire la commissione dello stesso.

Ai fini di una maggior chiarezza espositiva, i motivi della decisione assolutoria possono essere analizzati secondo il seguente ordine.

 

 

a) L’idoneità del MOG e il necessario accertamento della ‘colpa di organizzazione’

 

Come evidenziato dalla Suprema Corte, la sentenza impugnata ha errato nell’affermare che il modello organizzativo di B.B. S.p.a. «non ha superato positivamente un giudizio di idoneità ad annullare il rischio di commissione del reato presupposto nella dimensione aziendale».

 

 

Tale inciso sarebbe basato su un «errore logico».

Infatti, dal quadro probatorio emerso nei giudizi di merito si è potuto evincere che la società, al momento dell’illecito, non solo fosse dotata di un modello organizzativo, ma che questo prevedesse la disponibilità di una nave e il divieto di trasferimento via terra da e per il cantiere libico. Tale divieto, peraltro, veniva generalmente rispettato. Le prescrizioni erano costantemente adempiute e a queste ultime era prassi attenersi, pur in presenza di condizioni metereologiche che obbligavano a ritardare di diversi giorni la navigazione.

 

Sulla base di tale ricostruzione – confermata dalle stesse ammissioni del dirigente condannato – è agevole comprendere come sia stato l’operation manager a decidere, autonomamente e imprevedibilmente, di far viaggiare via terra i quattro tecnici dipendenti della società. La scelta di far spostare i lavoratori a bordo di un’autovettura – quale fattore antecedente e causalmente incidente sull’evento morte – deve dunque ritenersi frutto di una scelta personale, peraltro effettuata da un soggetto dotato di una valida delega di funzioni e delle specifiche competenze professionali per gestire la salute e la sicurezza dei lavoratori negli stabilimenti libici.

 

Coerentemente con tale premesse, i giudici della Suprema Corte hanno ricordato che l’accertamento della responsabilità dell’ente deve seguire un «percorso sostanziale», e che dunque, indipendentemente dalla formale presenza di un modello organizzativo efficace e correttamente implementato, è necessario accertare, per una affermazione di colpevolezza, «l’esistenza in concreto di una ‘colpa di organizzazione’ rispetto alla quale il reato commesso si ponga in stretto ed univoco rapporto causale».

 

Nel caso di responsabilità degli enti ritenuta in relazione a reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, la ‘colpa di organizzazione’ deve intendersi in senso normativo, ed è fondata sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione di reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo.

 

Cautele e accorgimenti che nel caso di specie, come emerso dall’istruttoria compiuta nei giudizi di merito, erano stati idoneamente adottati.

 

 

Per tali ragioni, da un lato appare corretta e condivisibile – secondo la ricostruzione della sentenza in commento – l’esclusione di ogni responsabilità in capo ai vertici aziendali, posto che il CdA della società aveva affidato all’operation manager del compound libico autonomi poteri di decisione e spesa proprio al fine di agevolare la tempestiva adozione di tutte le cautele necessarie a impedire il verificarsi di un ipotetico evento dannoso ai lavoratori.

 

Dall’altro queste considerazioni inducono a ritenere che la società, nonostante la mancata previsione scritta (peraltro non obbligatoria) del rischio in questione nel DVR, tenesse adeguatamente conto nel proprio modello organizzativo d’impresa del rischio connesso agli spostamenti dei propri dipendenti in zone che presentassero situazioni di rischio per la loro incolumità in relazione agli stessi. La rilevanza di questa circostanza non può essere elusa dallo sporadico comportamento tenuto dall’operation manager, comportamento non prevedibile e non arginabile dall’azienda.

 

Nel caso specifico, infatti, la scelta di disporre il trasferimento via terra fu frutto di una personale iniziativa del dirigente«del tutto imprevedibile per i componenti del Consiglio di Amministrazione tenuto conto della sua elevata esperienza sul campo, del fatto che era stata specificamente raccomandata l’utilizzazione della via marittima e che la prescrizione per il passato era stata sempre rispettata», oltre a doversi considerare che il responsabile della decisione «guardò bene dall’informare i vertici della società», cosicché l’autonomia di tale decisione si configura quale elemento «idoneo e sufficiente a determinare l’esito infausto della tragedia».

 

b) Il criterio dell’interesse o vantaggio

 

 

Il secondo elemento di interesse che  si può ricavare dalla sentenza in commento concerne le considerazioni svolte dal Supremo Collegio in relazione al criterio dell’interesse o vantaggio della società, previsto dall’art. 5 del d.lgs. 231/2001.

 

Secondo la ricostruzione effettuata dai giudici di merito, nel caso di specie si sarebbe disposto il trasporto via terra al fine di realizzare un vantaggio economico per la società rendendo più velocemente disponibili i tecnici per il cantiere e risparmiando i costi economici del pernottamento in Tunisia per attendere, di lì a qualche giorno, l’arrivo della nave.

 

Sul punto la Corte di Cassazione svolge un’approfondita analisi, fornendo alcuni importanti spunti di riflessione.

 

Secondo i giudici di legittimità, pur potendosi riconoscere che in tal caso potrebbe rinvenirsi astrattamente un vantaggio per la società, è erroneo ritenere che il perseguimento di un tale beneficio possa fondare una conclusione di responsabilità dell’ente, una volta acquisito che l’ottenimento di tale vantaggio è stato il frutto di un’iniziativa estemporanea di un suo dirigente, presa peraltro in distonia con quelle che erano le pacifiche, conosciute e (fino a quel momento) rispettate disposizioni organizzative sul punto.

 

Inoltre, sottolinea la Corte, da un lato è necessario considerare che non è mai stata provata l’urgenza della società di avere a disposizione nel sito libico i tecnici poi rapiti; dall’altro, quanto al risparmio di alcune notti in albergo, a fronte peraltro di una nave già approntata di lì a qualche giorno e di un trasbordo a mezzo auto che è stato comunque pagato, se ne palesa la portata irrisoria per una società multinazionale delle dimensioni della B.B. S.p.a.

 

Da tali premesse emerge uno degli snodi argomentativi più rilevanti ai fini della decisione.

 

La pronuncia in esame afferma che i requisiti dell’interesse e del vantaggio devono essere «valutati nel contesto generaledei fatti ed in stretto collegamento con le verifiche relative alla sussistenza o meno di una ‘colpa di organizzazione’», attribuendo così rilevanza anche al carattere sporadico della violazione, posto che, «per quanto anche un’unica e isolata violazione della norma cautelare possa fondare la responsabilità dell’ente, il connotato della sistematicitàdelle violazioni ben può rilevare su un piano strettamente probatorio, quale possibile indice della sussistenza e ‘consistenza’, sul piano economico, del vantaggio, derivante dalla mancata previsione e/o adozione delle dovute misure di prevenzione».

 

Dunque, concludono i giudici di legittimità, «pur in assenza di una sistematicità delle violazioni e in presenza di un vantaggio ‘esiguo’ (ipotizzato nel caso in esame sotto il profilo del risparmio di spesa), è da approfondire il rilievo di tali connotazioni oggettive ai fini dell’addebito a carico dell’ente».

 

Infatti, per impedire un’automatica applicazione della norma che ne dilati a dismisura l’ambito di operatività ad ogni caso di mancata adozione di qualsivoglia misura di prevenzione, anche isolata, la sentenza ha condivisibilmente affermato che «l’esiguità del risparmio può rilevare per escludere il profilo dell’interesse e/o del vantaggio, e, quindi, la responsabilità dell’ente, ove la violazione si collochi in un contesto di generale osservanza da parte dell’impresa delle disposizioni in materia di sicurezza».

 

 

4. La differenza tra safety e security nell’ambito della compliance aziendale

 

L’ultimo profilo che merita di essere approfondito nell’ambito della presente analisi riguarda il rapporto tra la safety e la security aziendale.

Il tema, seppur meramente accennato nelle motivazioni del provvedimento, riveste un ruolo centrale nello studio della responsabilità da reato degli enti e, più marcatamente, della compliance.

 

I due concetti sono distinti. La safety si riferisce all’attività di protezione dei rischi ‘insiti’ nell’attività lavorativa e nei diversi processi produttivi, intorno al quale si impernia tutta la normativa antinfortunistica; la security fa invece riferimento al rischio ‘esogeno’, ovvero trasversale, prospettico e non classificabile e che quindi, per queste sue particolari caratteristiche, non risulta disciplinato da una normativa special-preventiva integrata e sistematica, non potendosi in particolare rintracciare nel d.lgs. 81/2008 alcun riferimento ai pericoli derivanti da agenti criminosi esterni. La security, in altre parole, riguarda la protezione dell’azienda e dei suoi beni da atti dolosi o criminali.

 

Entrambe le tematiche, tuttavia, pur nelle loro differenze strutturali, sono idonee ad incidere sulla responsabilità amministrativa da reato degli enti.

 

Per ciò che interessa in questa sede, coerentemente con quanto emerge dalle motivazioni della pronuncia in commento, il dibattito verte sull’opportunità di ricondurre i rischi attinenti alla security, al pari di quelli di safety, alle disposizioni di cui al d.lgs. 81/2008; e, consequenzialmente, sulla necessità di inserire le relative procedure di mappatura del rischio nel DVR.

 

Come correttamente rilevato dal difensore della B.B. S.p.a., ad oggi vige una consolidata convinzione, fondata su precisi riferimenti normativi e regolamentari, che l’area della safety debba essere gestita in modo separato da quella della security.

 

Il tema, in realtà, non è tanto se le disposizioni inerenti alla safety debbano essere contenute o meno nel DVR, ma verificare che l’azienda strutturi un’organizzazione nota e conosciuta a tutti i lavoratori tesa a fronteggiare anche i rischi ‘esogeni’ derivanti da eventuali spostamenti e trasferte.

 

Solo così operando, infatti, è possibile predisporre un modello organizzativo che, all’eventuale vaglio giurisprudenziale, possa essere ritenuto idoneo a prevenire il generico rischio di ‘sicurezza dei lavoratori’, seppur scissa nelle sue componenti della safety e della security.

 

 

Ad oggi, con l’affermarsi di un (sempre più auspicato) modello di compliance integrato, la differenza tra i due concetti si fa sempre più labile.