Divieto di commercializzare prodotti ottenuti dal lavoro forzato: il Parlamento Europeo approva un nuovo Regolamento

di  Luigi  També, Dottorando  di ricerca in  Diritto penale

 

 

Il 23 aprile 2024 il Parlamento Europeo ha approvato, con ampia maggioranza (555 voti favorevoli contro i soli 6 voti contrari e 45 astenuti), il nuovo Regolamento volto a proibire la vendita, l’importazione e l’esportazione nell’Unione Europea di tutti i prodotti ottenuti mediante l’impiego di lavoro forzato.

 

Già dal titolo del Regolamento è possibile individuare l’obiettivo che si pone l’Unione Europea, ovvero il contrasto al lavoro forzato. Oltre a rappresentare una grave offesa alla dignità umana, infatti, il lavoro forzato integra una violazione dei diritti umani fondamentali, favorendo quindi la diffusione della povertà, la discriminazione e ostacolando il raggiungimento dell’obiettivo di un lavoro dignitoso per tutti (considerando n. 1). Su queste basi, viene dunque costruito un sistema regolato e controllato dalle autorità degli Stati Membri e dalla Commissione Europea, che potranno condurre indagini sui prodotti e sulle relative catene di fornitura, applicando quindi delle sanzioni che assicurino la fuoriuscita dal mercato dei prodotti così realizzati.

 

Essendo la promozione del lavoro dignitoso tra le priorità fondamentali dell’Unione, tale Regolamento rappresenta un ulteriore passo avanti nella politica di contrasto allo sfruttamento del lavoro perseguita dall’Unione Europea. Questo, infatti, segue ad altri interventi normativi volti a responsabilizzare le imprese, garantendo la conformità delle catene di approvvigionamento al rispetto dei diritti umani e dell’ambiente (così come richiesto dalla Corporate Sustainability Due Diligence Directive o CSDDD).

 

1. Le ragioni e gli obiettivi del Regolamento

 

Il presente Regolamento nasce dalla consapevolezza circa la crescente diffusione del fenomeno nel mondo. Come indicato nel considerando n. 2, nel 2021 risultavano circa 27,6 milioni le persone costrette al lavoro forzato. Viene peraltro osservato come questo si ponga spesso come la diretta «conseguenza dell’assenza o della mancanza di un buon governoda parte di alcuni operatori economici» e della «incapacità dello Stato di far rispettare i diritti sociali e lavorativi», che mostrano verso tale fenomeno un «tacito consenso».

 

Di qui le ragioni dell’intervento: mediante la cooperazione tra gli Stati membri e l’Unione Europea, l’obiettivo sarà quello di garantire un’efficace tutela per tutte le violazioni dei diritti fondamentali, tra i quali viene incluso anche il lavoro forzato. Tale finalità viene resa concreta proprio dalla previsione di controlli e dalla raccolta di informazioni presso le imprese, da cui potranno scaturire le relative indagini, basate su informazioni fattuali e verificabili ricevute da organizzazioni internazionali, autorità e informatori.

 

2. Dalla definizione di ‘lavoro forzato’ all’ambito applicativo

 

Aspetto che fin da subito merita attenzione è la definizione di ‘lavoro forzato’. Inserendosi tra gli «sforzi internazionali volti ad abolire il lavoro forzato», con il Regolamento in commento si è deciso di allinearsi alla definizione contenuta all’art. 2 della Convenzione n. 29 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, secondo la quale «il termine lavoro forzato o obbligatorio indica ogni lavoro o servizio estorto a una persona sotto minaccia di una punizione o per il quale detta persona non si sia offerta spontaneamente» (considerando n. 19). L’intento è quello di impiegare una definizione unica per tutti gli Stati membri, alla quale questi potranno far riferimento nell’individuazione della condotta illecita. Ciò, però, potrebbe far sorgere alcuni problemi nel momento in cui tale definizione dovrà declinarsi nel singolo ordinamento. Seppur a livello sovrannazionale il concetto di lavoro forzato trovi ampio riconoscimento (in quanto è la stessa Cedu, all’art. 4, a sancire che «nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato od obbligatorio»), sarà all’interno di ogni Stato che tale nozione potrebbe non trovare una precisa collocazione in una fattispecie di reato. Come poi si vedrà, proprio nel nostro ordinamento è ravvisabile tale problematica, dato che attualmente non appare pacifica la qualificazione giuridica del lavoro forzato, residuando dunque alcuni dubbi circa l’effettiva tipizzazione dell’illecito.

 

Rispetto ai confini applicativi, invece, il Regolamento vede come destinatarie quelle imprese che operano sul mercato dell’Unione Europea, con riguardo a tutti i prodotti venduti, importati o esportati derivanti dal lavoro forzato. Più in particolare, al considerando n. 18, si evidenzia come il Regolamento in analisi non dovrebbe trovare applicazione rispetto alla prestazione di servizi di trasporto, tracciando dunque il confine di ciò che rimane lecito all’interno della catena di approvvigionamento di prodotti per i quali si è fatto ricorso al lavoro forzato. Diversamente, la vendita a distanza(compresa quella online) rientrerà nel perimetro applicativo del Regolamento. Viene infatti specificato che essendo i mercati online sempre più utilizzati, qualsiasi informazione relativa alla vendita di prodotti resa in violazione del divieto posto dal presente Regolamento sarà da considerarsi illegale (art. 4).

 

3. Contenuti ed obblighi del Regolamento

 

Nella prima parte dedicata alle disposizioni generali, il Regolamento si apre sottolineando che dalla presente fonte normativa non deriveranno ulteriori obblighi di due diligence nei confronti degli operatori economici (art. 1, par. 3). Di fatti, si rinvia a quei doveri già previsti – tra gli altri – nel recente Regolamento (UE) 2023/1542 del Parlamento europeo e del Consiglio, contenente «l’obbligo per gli operatori economici di adempiere al dovere di diligenza nelle loro catene di approvvigionamento, anche per quanto riguarda i diritti dei lavoratori» (considerando n. 9).

 

Ad ogni modo, seppur unico vero divieto sarà quello contenuto all’art. 3, secondo il quale «gli operatori economici non immettono né mettono a disposizione sul mercato dell’Unione prodotti ottenuti con il lavoro forzato, né esportano tali prodotti», come poi si vedrà, ulteriori obblighi potrebbero essere ricavati indirettamente dagli orientamenti e dalle migliori pratiche che scaturiranno dalla cooperazione tra la Commissione Europea e gli Stati membri.

 

Tutto ciò non potrà lasciare indifferenti le imprese, in particolare quelle che intrattengono rapporti contrattuali per l’acquisto di prodotti extra-UE. Per tali operatori economici, infatti, si renderà necessaria una scrupolosa verifica sulle modalità di lavoro impiegate nella realizzazione dei prodotti importati. Queste realtà dovranno dunque uniformarsi alle indicazioni che da tale Regolamento deriveranno, così da evitare di incorrere nelle sanzioni previste, che potrebbero portare effetti negativi nei confronti dell’impresa stessa.

 

Inoltre, una particolare attenzione viene dedicata alle PMI, per le quali la Commissione, durante le varie fasi applicative, dovrà evitare oneri amministrativi superflui, garantendo quindi per le piccole e medie imprese che l’applicazione del Regolamento non diventi eccessivamente onerosa e difficilmente sostenibile, data la natura ridotta dell’ente.

 

3.1. La rete

L’art. 6 del Regolamento prevede l’istituzione di una «rete dell’Unione sui prodotti del lavoro forzato» (art. 6, par. 1), che ha lo scopo di creare un coordinamento e una cooperazione tra le autorità competenti degli Stati membri (individuate proprio da quest’ultimi, cfr. art. 5) e la Commissione Europea, al fine di semplificare l’applicazione del Regolamento stesso. Riportando qui i punti più significativi, «la rete svolge i compiti seguenti:

  • a) agevolare l’individuazione di priorità comuni in materia di applicazione per conseguire gli obiettivi di vietare i prodotti ottenuti con il lavoro forzato sul mercato dell’Unione e di contribuire alla lotta contro il lavoro forzato;
  • b) agevolare il coordinamento delle indagini;
  • c) dare seguito all’esecuzione delle decisioni adottate a norma dell’articolo 20;
  • d) su richiesta della Commissione, contribuire all’elaborazione degli orientamenti di cui all’articolo 11;
  • e) facilitare e coordinare la raccolta e lo scambio di informazioni, competenze e migliori pratiche in merito all’applicazione del presente regolamento;
  • f) contribuire ad approcci basati sul rischio e pratiche amministrative uniformi per l’attuazione del presente regolamento;
  • g) promuovere le migliori pratiche nell’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 37;[…]
  • o) raccogliere dati sulle misure correttive connesse alle decisioni e sulla valutazione della loro efficacia» (art. 6, par. 7).

 

3.2. La Banca dati

Tra i punti cardine del presente Regolamento, si colloca l’istituzione di una banca dati da parte della Commissione Europea. Tale strumento è volto a garantire la raccolta e lo scambio di informazioni «indicative, non esaustive, basate su prove, verificabili e regolarmente aggiornate sui rischi del lavoro forzato» (art. 8), suddivise per zone geografiche o gruppi di prodotti specifici.

 

Oltre infatti all’individuazione dei rischi di lavoro forzato, la piattaforma consente un’accurata (e verificabile) mappatura del rischio, delimitando quelle zone geografiche nelle quali esistono prove affidabili – sulla base di informazioni provenienti anche da organizzazioni internazionali – dell’esistenza di un lavoro forzato, anche se imposto dalle autorità statali.

 

Tutte le informazioni dovranno essere presentate e inserite in un meccanismo centralizzato dedicato alla raccolta dei dati, il c.d. Forced Labour Single Portal (Portale Unico sul Lavoro Forzato), il quale verrà istituto dalla Commissione Europea, che ne garantirà la fruibilità in termini semplici, gratuiti e in tutte le lingue, dando dunque pubblicità ai dati ivi contenuti, senza però rendere pubbliche le informazioni che nominano direttamente gli operatori economici (art. 8, par. 2).

 

3.3. Gli orientamenti

Altro aspetto centrale del Regolamento in commento è l’emanazione di orientamenti sugli indicatori di rischio del lavoro forzato da parte della Commissione, predisposti a seguito di consultazioni con i pertinenti portatori di interessi. Entro 18 mesi dall’entrata in vigore del presente Regolamento, infatti, alla Commissione spetterà il compito di rendere disponibili, nonché aggiornare regolarmente, «orientamenti che comprendono:

  • a) indicazioni per gli operatori economici relative al dovere di diligenza in relazione al lavoro forzato, compreso il lavoro minorile forzato, che tengono conto della legislazione applicabile nazionale e dell’Unione che stabilisce obblighi in materia di dovere di diligenza in relazione al lavoro forzato, degli orientamenti e delle raccomandazioni di organizzazioni internazionali, nonché delle dimensioni e delle risorse economiche degli operatori economici, dei diversi tipi di fornitori lungo la catena di approvvigionamento e dei diversi settori;
  • b) indicazioni per gli operatori economici relative alle migliori pratiche per porre fine ai diversi tipi di lavoro forzato e per porvi rimedio; […]
  • e) informazioni sugli indicatori di rischio del lavoro forzato, anche con riguardo alla modalità per identificarli, basate su informazioni indipendenti e verificabili, comprese le relazioni di organizzazioni internazionali, in particolare dell’Organizzazione internazionale del lavoro, dei rappresentanti della società civile e delle organizzazioni aziendali e sindacali, e sull’esperienza acquisita nell’attuazione della legislazione dell’Unione che stabilisce obblighi in materia di dovere di diligenza in relazione al lavoro forzato;
  • f) indicazioni per gli operatori economici relative al dovere di diligenza in relazione al lavoro forzato imposto dalle autorità statali;
  • g) indicazioni per gli operatori economici e i fornitori di prodotti su come avviare un dialogo con le autorità competenti conformemente al capo III, in particolare sul tipo di informazioni da presentare; […] (art. 11)».

 

Inoltre, preme qui segnalare che anche gli orientamenti formulati (al pari – tra gli altri – dell’elenco e contatti delle autorità competenti, banche dati, decisioni), verranno resi disponibili sul Portale Unico sul Lavoro Forzato, sempre tramite l’attività della Commissione.

 

3.4. La cooperazione internazionale

Oltre alla cooperazione con gli Stati membri, finalizzata a garantire un’efficace applicazione e attuazione del Regolamento, la Commissione Europea potrà cooperare e scambiare informazioni con «autorità di paesi terzi, organizzazioni internazionali, rappresentati della società civili, organizzazioni sindacali e aziendali e altri pertinenti portatori di interessi» (art. 13). Tale cooperazione, inoltre, sarà funzionale a un proficuo scambio di informazioni sui settori o prodotti a rischio di lavoro forzato, delle migliori pratiche per porre fine al lavoro forzato, oltre alle informazioni relative alle decisioni di divieto di prodotti.

Verranno altresì elaborate una serie di misure di accompagnamento per sostenere gli sforzi degli operatori economici – in particolare per le PMI (art. 10) – nell’attività di contrasto al lavoro forzato, garantendo così un’effettiva applicazione del presente Regolamento.

 

4. Le indagini

 

Per la parte relativa alle indagini, sarà il principio di proporzionalità quello al quale le autorità competenti e la Commissione dovranno ispirarsi nell’attuazione del presente Regolamento. Queste, infatti, dovranno garantire che le misure e le azioni svolte durante l’indagine (sia preliminare che effettiva), «siano adeguate e necessarieper conseguire l’obiettivo perseguito e non impongano agli operatori economici un onere eccessivo rispetto all’obiettivo perseguito» (considerando n. 26).

Anche per la fase delle indagini, finalizzate all’accertamento della violazione dell’art. 3, viene seguito un approccio basato sul rischio. Nel valutare la probabilità che la norma citata sia stata violata (valutazione che dovrà comunque basarsi su informazioni pertieniti, fattuali e verificabili), «le autorità competenti e la Commissione utilizzano, se del caso, i criteri seguenti:

  • a) l’entità e la gravità del presunto lavoro forzato, compreso il timore di un possibile lavoro forzato imposto dallo Stato;
  • b) la quantità o il volume dei prodotti immessi o messi a disposizione sul mercato dell’Unione;
  • c) la percentuale della parte che si sospetta sia stata realizzata con il lavoro forzato rispetto al prodotto finale» (art. 14, par. 2).

 

Nell’avviare un’indagine preliminare il focus viene posto sull’individuazione del rischio di lavoro forzato. Le autorità competenti capofila si concentrano su quegli operatori economici e fornitori di prodotti coinvolti nella catena di approvvigionamento che si presentano in stretta vicinanza con il rischio di lavoro forzato, potendo essi esercitare la «massima influenza per prevenire, attenuare e far cessare il riscorso al lavoro forzato» stesso (art. 14. par. 4). Una volta raggiunto un fondato sospetto della violazione del divieto di cui all’art. 3, le autorità competenti capofila (o la Commissione, secondo la ripartizione di competenza prevista all’art. 15) avviano un’indagine sui prodotti e sugli operatori economici interessati.

 

Prima di far ciò, però, agli stessi operatori vengono richieste una serie di informazioni sulle misure adottate per individuare, prevenire, attenuare e far cessare i rischi di lavoro forzato o porvi rimedio. Questa prima fase dell’indagine, che dovrà comunque concludersi entro 30 giorni lavorativi dalla data di ricevimento delle informazioni fornite dagli operatori economici, sarà finalizzata proprio a valutare se sussista quel fondato sospetto di violazione dell’art. 3, necessario per avviare l’indagine vera e propria (art. 17, par. 3).

 

Diversamente, anche qualora venisse rilevato un fondato sospetto di violazione, ma le ragioni fondanti siano state eliminate a seguito della «applicazione della legislazione, degli orientamenti, delle raccomandazioni applicabili o di qualsiasi altro dovere di diligenza» (art. 17, par. 5), le autorità competenti capofila non avvieranno l’indagine. Si riconosce dunque la possibilità all’operatore economico di uniformarsi alle disposizioni normative, agli orientamenti e raccomandazioni, per fa sì che l’indagine non abbia seguito.

 

5. La decisione e le sanzioni

 

Le indagini dovranno concludersi entro un periodo di tempo ragionevole, senza però che il Regolamento preveda alcun termine massimo. Una volta valutate tutte le informazioni raccolte (sia fornite direttamente dall’operatore economico sia ottenute con altre modalità, tra le quali anche le ispezioni in loco di cui all’art. 19), le autorità competenti stabiliscono «se i prodotti interessati siano stati immessi o messi a disposizione sul mercato o siano esportati in violazione dell’articolo 3» (art. 20, par. 1). A ciò seguirà la fase conclusiva del procedimento, ovvero la decisione, che le autorità dovranno adottare entro nove mesi dalla data di avvio dell’indagine. Qualora venga riscontrata la violazione dell’art. 3, le autorità «adottano senza indugio una decisione contenente:

  • a) il divieto di immettere o mettere a disposizione sul mercato dell’Unione i prodotti in questione e di esportarli;
  • b) l’ordine, rivolto agli operatori economici oggetto dell’indagine, di ritirare dal mercato dell’Unione i prodotti interessati che sono già stati immessi o messi a disposizione sul mercato, o di rimuovere da un’interfaccia online i contenuti relativi ai prodotti interessati o agli elenchi di tali prodotti;
  • c) l’ordine, rivolto agli operatori economici oggetto dell’indagine, di smaltire i rispettivi prodotti interessati conformemente all’articolo 25 o, qualora le parti del prodotto di cui è accertata la violazione dell’articolo 3 siano sostituibili, l’ordine di smaltire le rispettive parti dei prodotti» (art. 20 par. 4).

 

Interessante la previsione contenuta al paragrafo 5 del medesimo articolo. Questa prevede che le autorità possano astenersi dal disporre l’ordine di smaltimento, trattenendo il prodotto interessato per un determinato lasso di tempo, al fine di consentire agli operatori economici di eliminare il lavoro forzato dalla catena di approvvigionamento. In questo caso, proprio a seguito del comportamento virtuoso e “riparativo” dell’operatore economico, l’autorità competente riesaminerà la decisione precedentemente presa. Al contrario, qualora gli operatori economici, pur avendo posto fine al lavoro forzato individuato dalla decisione, non dimostrino di averlo eliminato anche dalla catena di approvvigionamento, verrà disposto l’ordine di smaltire i prodotti interessati dalla decisione.

 

Inoltre, le autorità revocheranno la decisione nel caso in cui gli operatori economici dimostrino di essersi conformati alla stessa, oltre ad aver eliminato il lavoro forzato dalle loro attività o catene di approvvigionamento per i prodotti interessati (art. 21, par. 3).

 

Venendo alla parte in merito alle sanzioni, qualora gli operatori economici non si conformino ad una decisione adottata dalle autorità competenti, gli Stati membri, previa individuazione delle norme relative, adottano «tutte le misure necessarie per assicurare l’applicazione delle sanzioni conformemente al diritto nazionale». Tali sanzioni dovranno essere «effettive, proporzionate e dissuasive», oltre a tener conto della gravità e durata della violazione, eventuali precedenti violazioni già commesse dall’operatore economico, il grado di cooperazione con le autorità competenti ed eventuali fattori attenuanti o aggravanti applicabili al caso concreto (art. 37, par. 1 e 2).

 

6. Tempi di recepimento

 

Il testo dovrà ora ottenere l’approvazione formale da parte del Consiglio. Sarà poi pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore il giorno successivo. I paesi dell’UE avranno 3 anni di tempo dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale per adeguarsi alla nuova normativa.

 

7. Note conclusive: gli ‘impliciti’ doveri di compliance

 

Sebbene venga sottolineato come tale Regolamento non porterà ulteriori “aggravi” rispetto agli obblighi di diligenza già richiesti alle imprese dall’Unione Europea (cfr. art. 1, par. 3), come anticipato, non potranno ignorarsi gli importanti effetti che questo potrebbe avere rispetto ai doveri di compliance, soprattutto con riguardo agli orientamenti e alle buone pratiche che verranno individuate. Gli operatori economici, infatti, per non incorrere in indagini, decisioni e relative sanzioni, dovranno necessariamente organizzare – già in via preventiva – la loro attività d’impresa, al fine di evitare di venire a contatto con imprese fornitrici di prodotti derivanti da lavoro forzato.

 

Dovranno dunque, in prima battuta, analizzarsi i rapporti con le imprese fornitrici, valutando se queste impieghino il lavoro forzato per la realizzazione dei prodotti, poi venduti dall’impresa che si pone in coda alla catena produttiva. In un secondo momento, dovrà procedersi all’aggiornamento dei c.d. modelli 231, così da prevenire eventuali responsabilità derivanti da reato.

 

Qui però si potrebbe porre un ulteriore problema rispetto a quale reato possa effettivamente contestarsi all’ente. Osservando la situazione italiana, recentemente – e in maniera sempre più frequente – alle imprese viene contestata l’agevolazione colposa del caporalato ai fini dell’applicazione della amministrazione giudiziaria (art. 34 d. lgs. 159/2011). Nel caso del lavoro forzato, però, potrà dirsi effettivamente integrato il reato presupposto di cui all’art. 603 bis c.p. e dunque rimproverare all’ente l’agevolazione colposa per avere rapporti contrattuali con l’impresa che utilizza tali modalità di ‘lavoro’?

 

La situazione appare attualmente molto dibattuta nella dottrina italiana, dove si pongono dei dubbi rispetto all’effettiva tipizzazione del lavoro forzato. Tale fattispecie, infatti, non risulta attualmente disciplinata nel nostro Codice Penale, o comunque rimane controversa la sua collocazione tra i reati di cui agli artt. 600 c.p. e ss. Il problema, quindi, sarà proprio nei termini definitori: seguendo la definizione data dall’OIL, che legittima l’intervento istituzionale previsto dal Regolamento in analisi, le imprese potranno vedersi destinatarie delle decisioni ivi disciplinate, senza che possa essergli contestato alcunché sotto il profilo strettamente penalistico.