L’adeguamento del MOG e del sistema disciplinare dell’ente al decreto legislativo Whistleblowing
di Mario Iannuzziello, Assegnista di ricerca in Diritto penale
1. Introduzione. Il d.lgs. n. 24/2023 e le modifiche al Decreto 231
Il decreto legislativo n. 24 del 2023 ha recepito nell’ordinamento italiano la Direttiva 2019/1937 sul whistleblowing, innovando profondamente il quadro normativo in tema di segnalazioni di illeciti all’interno delle imprese. Rinviando a quanto già analizzato in tema su CCCHub (qui i precedenti post), le riflessioni che seguono verteranno su come il d.lgs. n. 24/2023 ha inciso sul Decreto 231, focalizzandosi, in particolare, sui riflessi che tale novazione spiega sul modello di organizzazione e gestione (MOG).
La novella del 2023, in primo luogo, nell’ambito delle violazioni che possono essere oggetto di whistleblowing, elegge le “condotte rilevanti ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, o violazioni dei modelli di organizzazione e gestione ivi previsti, che non rientrano nei numeri 3), 4), 5) e 6)” (art. 2, co. 1, lett. a), n. 2)), ricomprendendo, quindi, i cd. reati-presupposto e le inosservanze del MOG qualora tali violazioni esulino dall’ambito applicativo del diritto UE e da alcuni settori specifici, come appalti pubblici e sicurezza dei trasporti (n. 3), dell’art. 325 TFUE e dal diritto, unionale o nazionale, da quest’ultimo derivato (n. 4), del mercato interno ex art. 26, par. 2 TFUE e da atti o condotte volti ad eludere gli atti UE nei settori di cui ai nn. 3, 4 e 5.
Poi, con riferimento agli enti sottoposti alla normativa whistleblowing, il d.lgs. n. 24/2023 individua quali soggetti del settore privato anche quelli che “rientrano nell’ambito di applicazione del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e adottano modelli di organizzazione e gestione ivi previsti, anche se nell’ultimo anno non hanno raggiunto la media di lavoratori subordinati di cui al numero 1)” (art. 2, co. 1, lett. q), n. 3)), cioè a prescindere dall’aver un numero di dipendenti medio per l’anno di riferimento (cioè quello precedente all’anno in cui viene adeguato il MOG al d.lgs. n. 24/2023) pari alle 50 unità.
Normando il canale di segnalazione interno, poi, il d. lgs. n. 24/2023 prevede all’art. 4 co. 2 che i modelli di organizzazione e gestione adottati ai sensi dell’art. 6 d.lgs. n. 231/2001 “prevedono i canali di segnalazione interna di cui al presente decreto” e che la gestione di tale canale sia “affidata a una persona o a un ufficio interno autonomo dedicato e con personale specificamente formato per la gestione del canale […], ovvero è affidata a un soggetto esterno, anch’esso autonomo e con personale specificamente formato”.
Ancora, il decreto whistleblowing – all’art. 21, co. 2 – impone agli enti sopramenzionati di prevedere “nel sistema disciplinare adottato ai sensi dell’art. 6, comma 2, lettera e), del decreto n. 231 del 2001, sanzioni nei confronti di coloro che accertano essere responsabili degli illeciti di cui al comma 1”, cioè quando sia accertato che a) il segnalante abbia subito ritorsioni; b) la segnalazione sia stata ostacolata o ve ne sia stato il tentativo; c) sia stato violato l’obbligo di riservatezza; d) non sia stato istituito il canale di segnalazione o non siano state eseguite le procedure di segnalazione prescritte o che siano state effettuate in maniera difforme da quanto previsto nel MOG; e) il segnalante sia stato condannato – anche in primo grado – per i reati di diffamazione o calunnia, anche se commessi attraverso la denuncia all’autorità giudiziaria o contabile.
Infine, il d.lgs. n. 24/2023 interviene nel corpo del Decreto 231, riscrivendo il comma 2-bis dell’art. 6 e abrogandone i commi 2-ter e 2-quater.
Il testo ora in vigore, infatti, dispone che “I modelli di cui al comma 1, lettera a), prevedono, ai sensi del decreto legislativo attuativo della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2019, i canali di segnalazione interna, il divieto di ritorsione e il sistema disciplinare, adottato ai sensi del comma 2, lettera e)”.
Il nuovo comma 2-bis si pone come punto di raccordo tra il sistema 231 e il d.lgs. n. 24/2023: tramite tre rinvii fissi, questa disposizione individua nel MOG di cui al comma 1 lett. a) (I rinvio) l’atto organizzativo in cui devono essere tradotti i contenuti della disciplina del whistleblowing (II rinvio) e prescrive l’introduzione di uno specifico sistema disciplinare – ai sensi del comma 2 lett. e) – volto a sanzionare le violazioni del MOG afferenti al whistleblowing (III rinvio).
Questa modifica al corpo del Decreto 231 designa gli enti organizzati come i destinatari privilegiati della novella del 2023 e, pertanto, enti pubblici e associazioni di categoria hanno elaborato delle policies per agevolare l’adeguamento del MOG al d.lgs. n. 24/2023: l’ANAC ha pubblicato delle Linee guida in materia di whistleblowing, Assonime la Circolare 12/2023 e Confindustria la Guida operativa per gli enti privati.
Le riflessioni che seguono saranno guidate anche da questi strumenti di soft-law, volendo evidenziare il contributo che forniscono alla compliance d’impresa.
2. L’adeguamento del MOG al d.lgs. n. 24/2023
L’adeguamento del MOG pare svilupparsi su due direttrici: la prima attiene alle violazioni che possono essere oggetto di segnalazione e la seconda al canale di segnalazione.
Infatti, il d.lgs. n. 24/2023 amplia il novero delle condotte rientranti dell’ambito del whistleblowing: a differenza della legge n. 179/2017, ora – accanto agli illeciti civili, amministrativi, reati-presupposto e violazioni del MOG ex d.lgs. n. 231/2001 e delitti contro la pubblica amministrazione – compaiono gli illeciti penali, contabili e quelli relativi alla violazione del diritto UE e di quello derivato.
Occorre notare che se, da un canto, il d.lgs. n. 24/2023 rende suscettibili di segnalazione gli illeciti penali non ulteriormente specificati e, quindi, tutti i reati previsti dall’ordinamento, dall’altro, questo non implica un’estensione del catalogo dei reati-presupposto, cioè del perimetro di applicazione del Decreto 231: la segnalazione degli illeciti penali diversi dai reati-presupposto “attengono ad aspetti organizzativi dell’ente che li adotta”, come esplicitato dalle Linee guida ANAC.
La seconda direttrice, invece, attiene al canale di segnalazione interno, come previsto dal nuovo testo del comma 2-bis dell’art. 6, d.lgs. n. 231/2001. A tal riguardo, il documento di Confindustria precisa che gli enti devono valutare “anzitutto la possibilità di adeguamento dei canali […] attivati – in attuazione della […] Legge 179/2017 – e delle relative procedure interne, in considerazione dei requisiti prescritti dal Decreto Whistleblowing”. Questa indicazione suggerisce di intervenire sul modello di organizzazione e gestione già compliant alla precedente normativa sulle garanzie per gli autori delle segnalazioni di reati o irregolarità, aggiornandola secondo i nuovi criteri previsti dal decreto legislativo del 2023, anche inserendo un rinvio recettizio nel MOG ad un atto organizzativo diverso.
Nello specifico, le imprese devono prevedervi il divieto di ritorsione contro il segnalante, il dovere di garantire la riservatezza delle informazioni sulla segnalazione e sulla sua gestione nonché la procedura di gestione, individuandone i soggetti preposti, anche esterni all’ente o condivisi tra più enti (su cui si rimanda al post Il whistleblowing nel gruppo di imprese: le indicazioni della Guida operativa di Confindustria). Sotto quest’ultimo profilo, viene in rilievo il ruolo che può svolgere l’Organismo di Vigilanza, che possiede – nella lettera del Decreto 231 – i requisiti di autonomia e indipendenza rispetto alla proprietà e al management dell’impresa, ma anche quello dei comitati etici e degli organi che si occupano di audit interno (in tema, si veda il post Il ruolo dell’Organismo di Vigilanza e la gestione delle segnalazioni whistleblowing).
Pertanto, il d.lgs. n. 24/2023 tende, come riconosciuto da Assonime, “a procedimentalizzare le attività inerenti al whistleblowing, che divengono un ulteriore tassello del sistema dei controlli interni e degli assetti organizzativi adeguati”, affidando all’autonomia organizzativa dell’ente il raggiungimento degli obiettivi di compliance in esso previsti.
3. L’adeguamento del sistema disciplinare dell’ente
Accanto a questi profili, il decreto whistleblowing, ex art. 21, co. 2, pone l’obbligo di inserire nel MOG delle sanzioni disciplinari da applicarsi nei confronti di chi – all’interno dell’ente – si sia reso responsabile degli illeciti previsti dal comma 1 del medesimo articolo. Si tratta, in sintesi, di: a) ritorsioni contro il segnalante e i soggetti a questo equiparati (facilitatore e i soggetti coinvolti o menzionati nella segnalazione) che provocano o possono arrecare un danno ingiusto come conseguenza della segnalazione o della denuncia all’autorità giudiziaria o contabile; b) la mancata istituzione del canale di segnalazione; c) l’adozione di procedure di whistleblowing difformi da quelle previste nel d.lgs. n. 24/2023; d) l’omesso espletamento della procedura di whistleblowing; e) le condotte che hanno ostacolato o tentato di ostacolare la segnalazione; f) la violazione dell’obbligo di riservatezza; g) la condanna – anche in primo grado – del segnalante per i reati di diffamazione o calunnia o anche al risarcimento del danno per dolo o colpa grave.
Questa disposizione presenta due profili di particolare interesse.
Da un canto, tali fatti costituiscono illeciti amministrativi sanzionati dall’ANAC con sanzione amministrativa pecuniaria in base all’art. 21, co. 1, d.lgs. n. 24/2023, potendosi, quindi, profilare una duplicazione della sanzione pecuniaria: nella propria autonomia organizzativa, infatti, l’ente potrebbe prevedere come sanzione disciplinare anche una sanzione pecuniaria, per cui da un medesimo fatto (quale – ad esempio – la violazione dell’obbligo di riservatezza) potrebbero seguire due sanzioni pecuniarie, quella amministrativa inflitta dall’ANAC e quella disciplinare inflitta dall’ente.
Dall’altro, l’art. 21, co. 1, lett. c) impone all’ente di prevedere una sanzione disciplinare nel MOG che segue alla perdita dello status di whistleblower e, quindi, della protezione accordatagli dal d.lgs. n. 24/2023. La disposizione testé menzionata rinvia all’art. 16 co. 3, che prescrive: “Salvo quanto previsto dall’articolo 20 [ossia gli esoneri dalla responsabilità penale, civile e amministrativa a beneficio del segnalate], quando è accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale della persona segnalante per i reati di diffamazione o di calunnia o comunque per i medesimi reati commessi con la denuncia all’autorità giudiziaria o contabile ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave, le tutele di cui al presente capo non sono garantite e alla persona segnalante o denunciante è irrogata una sanzione disciplinare”.
Questa previsione, ed il correlato obbligo di sanzionare in via disciplinare il non corretto utilizzo del canale di segnalazione, pare rappresentare un punto centrale nella normativa italiana sul whistleblowing.
Il d.lgs. n. 24/2023 concede al whistleblower uno status peculiare: infatti, l’art. 18 gli riconosce delle misure di sostegno, come informazione, assistenza e consulenza a titolo gratuito su come effettuare la segnalazione e sulle misure di protezione previste in suo favore dall’ordinamento eurounitario e italiano, sui diritti della persona coinvolta nella procedura di segnalazione e di accertamento e sulle modalità di accesso al gratuito patrocino. L’art. 19, poi, gli riconosce delle misure di protezione contro le ritorsioni subite a causa della segnalazione, quali – fra le altre – il reintegro nel posto di lavoro e il risarcimento del danno. Ancora, l’art. 20 esonera il segnalante dalla responsabilità penale per i reati di rivelazione e utilizzazione del segreto di ufficio, del segreto professionale, dei segreti scientifici e industriali e da ogni ulteriore responsabilità, civile o amministrativa quando al momento della rivelazione delle informazioni coperte dal segreto vi fossero fondati motivi per ritenere che la divulgazione fosse necessaria per denunciare l’illecito di cui si è appreso nel contesto lavorativo, sempre però che si siano seguite le modalità della segnalazione previste dall’art. 16.
Lo status di whistleblower e le tutele a questo connesse, poi, decadono quando il segnalante viene condannato, anche solo in primo grado, per reati che offendono l’amministrazione della giustizia (la calunnia) e l’onore (l’onore): nell’impianto del d.lgs. n. 24/2023, questi due delitti corrispondono alle due modalità di segnalazione degli illeciti previsti dall’art. 3 ossia la segnalazione esterna mediante denuncia all’autorità giudiziaria e contabile e la segnalazione interna tramite il canale di segnalazione. Infatti, il delitto di calunnia (art. 368 c.p.) si perfeziona quando chiunque – nel caso che ci occupa, il segnalante – tramite denuncia all’autorità giudiziaria incolpa di un reato taluno che egli sa innocente o simula a suo carico tracce di un reato. Quello di diffamazione (art. 595 c.p.), invece, quando il segnalante offende la reputazione di taluno comunicando con più persone.
Occorre notare, tuttavia, che la sentenza di primo grado è pur sempre un provvedimento non definitivo in quanto suscettibile di impugnazione: di conseguenza, in appello o in cassazione il processo che vede imputato il segnalante per calunnia o diffamazione potrebbe concludersi con esito assolutorio. Tale evenienza e soprattutto le conseguenze che può avere sulla posizione lavorativa del segnalante non sono regolate dal d.lgs. n. 24/2023, evidenziando un vuoto di tutela.
Al netto di tale limite di disciplina, la sentenza di condanna di primo grado del segnalante per uno di questi due delitti o al risarcimento del danno derivante da questi costituisce il presupposto logico-giuridico da cui conseguono la perdita dello status di whistleblower (art. 16, co. 3 d.lgs. n. 24/2023) e l’irrogazione di una sanzione disciplinare prevista dal MOG (art. 21, co. 2 d.lgs. n. 24/2023).
L’apparato sanzionatorio del modello di organizzazione e gestione, dunque, soprattutto alla luce di quest’ultima considerazione, sembra acquistare una valenza quasi pubblicistica, andando a rafforzare la prevenzione generale e speciale all’interno degli enti.
4. Verso un ruolo pubblicistico del MOG?
L’incidenza del d.lgs. n. 24/2023 sul modello di organizzazione e gestione e sul sistema disciplinare dell’ente inducono a riflettere sul ruolo che la compliance sta man mano acquisendo nell’ordinamento italiano. Se in passato la maggior parte delle novazioni riguardanti il Decreto 231 ha avuto per lo più un effetto che si potrebbe definire indiretto sui modelli di organizzazione, in quanto il legislatore è intervenuto ad esempio ampliando il novero dei reati-presupposto per cui le imprese, in via autonoma, hanno provveduto ad aggiornare il proprio MOG, con il decreto whistleblowing accade qualcosa di diverso.
Infatti, la presenza di un modello di organizzazione e gestione fa rientrare nel campo di applicazione del d.lgs. n. 24/2023 gli enti a prescindere dal limite dimensione del numero di dipendenti, ponendo quindi un’eccezione alla regola che impone l’adozione del canale e della procedura di segnalazione alle imprese private con un numero minimo di 50 dipendenti. Ancora, il d.lgs. n. 24/2023 impone di integrare il sistema disciplinare dell’ente con specifico riferimento alla violazione della normativa e della procedura di whistleblowing.
Ebbene, queste due caratteristiche della riforma del 2023 sembrano far acquisire al modello di organizzazione e gestione un ruolo quasi pubblicistico in ragione degli obiettivi del decreto whistleblowing, della funzione del MOG e dell’obbligo di prevedere sanzioni disciplinari.
Lo scopo del whistleblowing, infatti, è proteggere chi segnala la commissione di illeciti (anche penali) di cui si viene a conoscenza in un contesto lavorativo e, nello specifico, all’interno di un’impresa. Il MOG, poi, ex art. 6 d.lgs. n. 231/2001, è volto principalmente alla prevenzione dei reati-presupposto mediante l’organizzazione e la procedimentalizzazione dell’attività dell’ente, che – ad oggi – incorpora anche il d.lgs. n. 24/2023 (art. 6, co. 2-bis). Pertanto, aggalla una divergenza – come già rilevato – tra gli illeciti oggetto di segnalazione e i reati-presupposto, che pare irrobustita dall’obbligo di introdurre sanzioni disciplinari per la violazione delle procedure di Whistleblowing.
Pertanto, pare potersi scorgere l’affiorare di un ruolo preventivo a marca pubblicistica del MOG visto che il decreto whistleblowing rende segnalabile ogni illecito di cui si viene a conoscenza nel contesto d’impresa e che le misure disciplinari afferenti al Whistleblowing spiegano una funzione di enforcement al d.lgs. n. 24/2023, con riferimento alle sanzioni legate alle ritorsioni subite dal segnalante a seguito della segnalazione, e di tutela ulteriore di beni giuridici lesi da una segnalazione rivelatasi mendace, quali l’amministrazione della giustizia e l’onore del segnalato.