Responsabilità 231 ed estinzione dell’ente durante il processo

di  Mario  Iannuzziello,  Dottore di Ricerca in Diritto penale

 

 

 

1. Introduzione

 

L’estinzione dell’ente rappresenta un’eventualità ordinaria nella vita dell’impresa, che segue allo scioglimento e alla liquidazione della società, perfezionandosi con la cancellazione della persona giuridica dal registro delle imprese.

 

L’art. 2272 c.c. stabilisce le cause di scioglimento della società semplice, l’art. 2308 c.c. di quella in nome collettivo e l’art. 2323 c.c. di quella in accomandita semplice, mentre l’art. 2484 c.c. disciplina le cause di scioglimento della società di capitali. Ai casi previsti dal Codice civile, che sono rimessi ora alla verificazione di un fattore esterno, come il decorso del termine, ora alla volontà dei soci, come la delibera assembleare di scioglimento, si affiancano quelli stabiliti dalla legge, quale quella fallimentare, dove l’estinzione dell’ente avviene all’esito della procedura di cui agli artt. 118 e ss. (R.D. n. 267/42)

 

A fronte di questa dettagliata disciplina civilistica, il Decreto 231 si sofferma più sulle vicende modificative dell’ente che sulle conseguenze dell’estinzione dell’ente.

 

Il d.lgs. n. 231/01, infatti, regolamenta la responsabilità da reato in caso di trasformazione del soggetto collettivo (art. 28) ora mediante fusione (art. 29) ora mediante scissione (art. 30), normando il procedimento di commisurazione della sanzione (art. 31) e la rilevanza della condanna ai fini della reiterazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato (art. 32), e disciplina le sorti della responsabilità 231 in caso di cessione e di conferimento d’azienda (art. 33).

 

L’estinzione dell’ente e le relative conseguenze, pertanto, sono un campo di materia in cui l’interprete deve orientarsi ponendo da un lato la rilevanza giuridica assegnata all’evento morte (naturale e giuridica) dall’ordinamento penale e civile e dall’altro quanto il Decreto 231 dispone in tema di estinzione della responsabilità dell’ente e di estensione delle disposizioni processuali relative all’imputato all’ente, in quanto compatibili.

 

La morte dell’indagato, dell’imputato o del condanno è un fatto naturale, che rientra nell’ordinario accadere delle cose. L’ordinamento penale la rende una causa di estinzione del reato (art. 150 c.p.), se avviene prima della condanna, o della pena e delle sue conseguenze giuridiche (art. 171 c.p.), se, invece, incorre successivamente alla condanna, arrestando il corso del procedimento (art. 129 c.p.p.) o l’esecuzione della pena (art. 676 c.p.p.) e sopravvivendo soltanto le obbligazioni civili derivanti dal reato (art. 198 c.p.).

 

La c.d. morte dell’ente, invece, è un fatto giuridico e deriva dalla perdita della personalità giuridica a seguito della sua cancellazione dal registro delle imprese, adempimento che ha natura costitutiva. L’art. 2495 c.c., tuttavia, precisa che “ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori non soddisfatti possono far valere i loro crediti” entro un anno dalla cancellazione sia verso i soci, nel limite di quanto ricevuto dalla liquidazione del soggetto collettivo, sia verso i liquidatori, se per loro colpa è derivato il mancato soddisfacimento del credito.

 

Le cause di estinzione della responsabilità dell’ente previste dal d.lgs. n. 231/01, poi, sono l’amnistia per il reato presupposto (art. 8, co. 2), la sua prescrizione prima della contestazione dell’illecito amministrativo a questo correlato (art. 60) e la prescrizione della sanzione (art. 67). Il Decreto 231, quindi, non disciplina – a differenza del Codice penale e del Codice civile – le conseguenze della c.d. morte dell’ente e lascia all’interprete il compito di trovare una disciplina per tale ordinaria eventualità.

 

In limine è da precisare che il tema acquista rilievo nel sistema 231 allorquando la cancellazione dell’ente dal registro delle imprese avviene in costanza di giudizio: se fosse precedente o successiva al processo, questo non potrebbe neanche iniziare, mentre nel caso considerato e stante l’assimilazione tra persona fisica e persona giuridica prevista dall’art. 35 d.lgs. n. 231/01 sarebbe come se l’imputato morisse durante il processo.

 

Pertanto, in assenza di una specifica disposizione sul punto, è stata la giurisprudenza che ha dovuto gestire e continua a gestire le sorti del processo 231 e delle sue conseguenze giuridiche in caso di estinzione dell’ente, polarizzandosi verso due soluzioni.

 

La prima esclude che in caso di cancellazione dell’ente dal registro delle imprese durante il processo possa essere riconosciuta la responsabilità 231, la seconda ritiene che ciò sia possibile.

 

 

2. L’estinzione fisiologica e fraudolenta dell’ente secondo la Cassazione e le diverse conseguenze sul processo e sull’illecito 231

 

L’orientamento giurisprudenziale che esclude la responsabilità 231 in caso di cancellazione dell’ente dal registro delle imprese motiva sulla base dell’art. 35 d.lgs. n. 231/01 e distingue tra estinzione fisiologica ed estinzione fraudolenta.

 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 41029 del 2019, meglio nota come sentenza Starco dal nome dell’ente ricorrente, precisa che l’ente estinto è una persona giuridica non più esistente e, considerato che il Decreto 231 non disciplina il fenomeno dell’estinzione dell’ente, devono estendersi le regole del processo penale ex art. 35. Pertanto, constatando la cancellazione dell’ente dal registro delle imprese – dunque la sopravvenuta inesistenza dell’imputato – annulla la sentenza impugnata senza rinvio.

 

Tale arresto precisa che nel processo 231 non può verificarsi quel meccanismo di successione tra società e soci previsto dal Codice civile per cui i rapporti obbligatori in capo alla prima si trasferiscono ai secondi (cfr., Cass. Civ., V Sez., ord. n. 13386/19 e Cass. Civ., III Sez., ord. n. 20840/18) per la diversa natura tra il processo 231 e il soddisfacimento dei creditori.

 

Il primo, infatti, risponde ad un interesse pubblico, mentre il secondo a uno privato e ciò – in questa lettura della Cassazione penale – giustifica l’ultrattività della società estinta prevista dall’art. 2495 c.c.

 

Ancora, la sentenza del 2019 distingue tra estinzione fisiologica ed estinzione fraudolenta dell’ente, che sarà posta a base della successiva giurisprudenza di legittimità sul tema.

 

La prima conduce a dichiarare l’improcedibilità dell’azione perché il soggetto imputato non è più esistente: nel caso scrutinato, si sostanzia nella chiusura della procedura fallimentare in cui l’ente imputato era coinvolto, conseguendo fisiologicamente la cancellazione dal registro delle imprese, cioè l’estinzione della persona giuridica. Inoltre, pone un caveat a tale massima: afferma, infatti, che il processo contro l’ente deve proseguire allorquando la “cancellazione piuttosto che fisiologica sia invece fraudolenta, caso che imporrà la valutazione della eventuale responsabilità degli autori della cancellazione patologica”.

 

A contrario, dunque, si assume come fraudolenta quello scioglimento e quella liquidazione della società a cui segue la cancellazione dal registro delle imprese che avviene al fine di evitare l’assoggettamento dell’ente alla responsabilità 231 e alle sue conseguenze sanzionatorie.

 

Su tale ultimo profilo, si è soffermata la sentenza n. 25492 del 2021 della Corte di Cassazione, che ha riconosciuto la fraudolenza dello scioglimento della società e ha contributo ad alimentare il tema di cui si tratta.

 

Il caso di specie riguardava il trasferimento delle attività di un ente a un altro al fine di sottrarre il primo, imputato nel processo 231, alle conseguenze sanzionatorie derivanti dall’accertamento della propria responsabilità da reato: la sentenza – applicando quanto sancito dall’arresto n. 41082/19 di cui supra – ha riconosciuto che tale operazione non è atta ad integrare una estinzione fisiologica dell’ente, come tale assimilabile alla morte dell’imputato e connotata dal conseguente effetto estintivo, poiché è stata compiuta con fine elusivo.

 

Infatti, la cessazione dell’attività della prima società con il trasferimento della stessa alla seconda società integra l’ipotesi prevista dall’art. 33 d.lgs. n. 231/01 ossia una cessione di azienda, che rende il cessionario solidalmente obbligato al pagamento della sanzione pecuniaria. Questa norma – si specifica in sentenza – non estende la responsabilità per l’illecito amministrativo dipende da reato all’ente cessionario, ma permane soltanto sull’ente cedente, ancora esistente come soggetto giuridico autonomo e diverso.

 

I profili con cui l’art. 33 delinea la responsabilità del cessionario paiono renderlo l’omologo del civilmente obbligato per la pena pecuniaria (art. 89 c.p.p.). Le due figure, infatti, sembrerebbero essere accomunate dal fatto che non sono riconosciuti responsabili del reato e dell’illecito amministrativo, ma devono adempiere l’obbligo del pagamento della sanzione pecuniaria, ora penale ora amministrativa.

 

Significativamente, la pronuncia del 2021 nota che mentre la disciplina riguardante le vicende modificative dell’ente (artt. 28 – 30 d.lgs. n. 231/01) si riferisce alla responsabilità per i reati commessi dall’ente incorporato (art. 29) e da quello scorporato (art. 30), quella afferente alla cessione dell’azienda norma soltanto il trasferimento dell’obbligo al pagamento della sanzione pecuniaria, in ossequio al principio di legalità di cui all’art. 2 del Decreto 231 poiché all’ente cessionario non è addebitato l’illecito amministrativo dipendente da reato.

 

Si riconosce, quindi, che l’art. 33 d.lgs. n. 231/01 “è applicabile anche al caso di fraudolento trasferimento delle attività di altro ente, attesa l’identità di ratio rispetto all’ipotesi di cessione di azienda”.

 

Queste due sentenze, pertanto, precisano cosa è da intendersi per estinzione fisiologica, a cui segue la dichiarazione di estinzione del processo e della responsabilità 231, e cosa, invece, per estinzione fraudolenta, che non comporta di per sé l’interruzione del processo e estende – per il tramite dell’art. 33 d.lgs. n. 231/01 – l’obbligazione per il pagamento della sanzione all’ente cessionario.

 

 

3. Un’ermeneutica diversa, che disattende il precedente orientamento

 

Questa linea di legittimità è stata successivamente disattesa: la Corte di Cassazione, infatti, con la sentenza n. 9006 del 2022, rigettando i ricorsi tanto del difensore dell’ente imputato quanto del procuratore generale, ha ritenuto che la cancellazione dell’ente dal registro delle imprese non rappresenta una causa di estinzione dell’illecito amministrativo.

 

Le motivazioni di tale arresto constatano l’interruzione del corso della prescrizione, a seguito della contestazione dell’illecito amministrativo (art. 22, co. 4 d.lgs. n. 231/01), e, su tale premessa, si affronta il tema della cancellazione dell’ente dal registro delle imprese e le conseguenze nel processo 231.

 

Richiamato il precedente del 2019 (di cui supra), questa sentenza dissente dalla distinzione tra estinzione fisiologica e patologia in ragione dell’equiparazione ivi sottesa tra estinzione della persona giuridica e morte dell’imputato/persona fisica.

 

Rimarcando che il Decreto 231 ha previsto una dettagliata disciplina per le vicende modificative dell’ente, mentre è quasi silente per le ipotesi di estinzione, sostiene che questo silenzio “non può indurre ad accontentarsi di un accostamento che appare essere solo suggestivo con l’estinzione della persona fisica”.

 

A sostegno di una tanto lapidaria affermazione, la Corte adduce le seguenti argomentazioni.

 

Primariamente, le causa estintive del reato sono tipiche, non sono estensibili, e il Decreto 231 prevede l’amnistia (art. 8, co. 2) e la prescrizione del reato da cui dipende l’illecito amministrativo e della sanzione amministrativa (art. 67). Ancora, sottolinea che l’orientamento da cui dissente opera un rinvio “indiscriminato” alle disposizioni processuali inerenti all’imputato, tralasciando la valutazione di compatibilità prevista dall’art. 35 d.lgs. n. 231/01.

 

A queste ragioni di ordine testuale, poi, si aggiungono delle considerazioni di ordine nomofilattico: infatti, in ragione di quanto affermato dalla sentenza n. 11170 del 2014 delle Sezioni Unite Penali, cioè che “In tema di responsabilità da reato degli enti, il fallimento della persona giuridica non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001”, ravvisa una contraddizione nel diverso trattamento per l’ente dichiarato fallito e dell’ente cancellato dal registro delle imprese, essendo preclusa la dichiarazione di estinzione dell’illecito per il primo ed ammessa – per via pretoria – per il secondo.

 

L’arresto qui in analisi, poi, compie un parallelo con la disciplina civilistica relativa all’estinzione della persona giuridica: nelle società di capitali, come visto precedentemente, l’art. 2495 c.c. fa sì che dopo la cancellazione dell’ente dal registro delle imprese siano i soci a rispondere dei crediti non soddisfatti a seguito della procedura di liquidazione.

 

Ancora, sempre in parallelo con la normativa societaria, afferma che “lo scioglimento della società, la cui nascita integra un contratto di durata, opera ex nunc: viene meno l’obbligo di esercitare l’impresa in comune ma non vengono meno […] i rapporti sorti nell’esercizio dell’impresa anteriormente allo scioglimento”.

 

Equipara – in sintesi – la responsabilità 231 ad un rapporto obbligatorio sorto nell’esercizio dell’impresa, specificando che se da un lato la cancellazione dell’ente dal registro delle imprese solleva un problema di esecuzione della sanzione amministrativa pecuniaria (“soddisfacimento del credito”, nelle parole della sentenza), dall’altro non può esserci una questione relativa all’accertamento della responsabilità per un illecito 231 commesso prima della perdita della sua capacità giuridica, visto che nessuna norma prevede che l’estinzione dell’ente comporta l’estinzione del processo.

 

Pertanto, la sentenza n. 9006 del 2022 afferma il seguente principio di diritto: “la cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale di contesti (nel processo penale che si celebra anche nei confronti di persona fisiche imputate di lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica) […] che si assume commesso nell’interesse ed a vantaggio dell’ente, non determina l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato”.

 

Questa diversa soluzione al problema della responsabilità 231 in caso di estinzione dell’ente in costanza di giudizio possiede il pregio di basarsi su pacifiche argomentazioni di ordine normativo, ma al contempo pare viziata dal suo appiattirsi sulla disciplina civilista prevista per lo scioglimento delle società di capitali, parificando il credito non soddisfatto alla sanzione pecuniaria.

 

 

4. Un possibile vita d’uscita dall’impasse, oltre la strada ermeneutica: l’annotazione ex art. 55 d.lgs. n. 231/01 nel registro delle imprese

 

Queste tre sentenze – benché discordanti tra loro – hanno il pregio di fornire dei dati da cui pare possibile ricavare una soluzione e di manifestare una lacuna normativa che sta al legislatore colmare.

 

L’arresto del 2019 consente di astrarre un canone ermeneutico che permetterebbe di dichiarare l’estinzione del processo 231 successivamente alla cancellazione dell’ente dal registro delle imprese. Infatti, se la perdita della capacità giuridica del soggetto collettivo è prevista come effetto tipico di un procedimento previsto dalla legge e posto in essere senza intento fraudolento allora tale effetto, fisiologico, deve spiegarsi – in ragione del principio di unitarietà dell’ordinamento – anche nel sistema 231.

 

L’arresto del 2021, poi, fornisce un esempio di estinzione fraudolenta dell’ente, dove tale profilo è autoevidente, e – stante nei fatti la cessione dal primo al secondo soggetto collettivo delle attività economiche – risolve la questione attraverso l’art. 33 d.lgs. n. 231/01, trasferendo la sanzione dal cedente al cessionario.

 

L’arresto del 2022, infine, puntuale nella ricostruzione normativa del Decreto sulle cause di estinzione dell’illecito 231 e coerente con la nomofilachia sull’illecito dell’ente dichiarato fallito, assimila la sanzione amministrativa pecuniaria (di natura pubblica) ad un credito inevaso (di natura privata).

 

Tra le diverse soluzioni prospettate dalla giurisprudenza, la prima pare preferibile poiché – al di là del dibattito sulla c.d. morte dell’ente – tende verso una coerenza tra la disciplina civilistica dello scioglimento della società e il processo contro la società e non interpreta una sanzione pubblica come un’obbligazione tra privati.

 

Tuttavia, è auspicabile un intervento legislativo, che potrebbe coinvolgere tanto il Decreto 231 quanto la disciplina privatistica.

 

Sotto il primo profilo, sarebbe sufficiente normare gli effetti della cancellazione dal registro delle imprese nel sistema 231, rendendola causa di estinzione dell’illecito amministrativo dipendente da reato.

 

Sotto il secondo, invece, sarebbe pensabile che l’annotazione dell’illecito amministrativo prevista dall’art. 55 d.lgs. n. 231/01 possa essere annotata anche nel registro delle imprese, che potrebbe valere quale condizione sospensiva della cancellazione della società fino al passaggio in giudicato della sentenza che la vede imputata o condannata. In tal modo, l’ente permarrebbe in vita fino alla chiusura del processo 231 e potrebbero così superarsi le questioni emersi dagli arresti esaminati.