Controllo giudiziario volontario: la Cassazione torna sulla bonificabilità dell’impresa
di Marco Colacurci, Ricercatore in Diritto penale
1. Introduzione
Con la recente sent. n. 48913/2022, la V sezione della Corte di Cassazione è tornata a occuparsi di controllo giudiziario volontario ai sensi dell’art. 34bis, co. 6, d.lgs. n. 159/2011 (c.d. Codice antimafia). Nel respingere il ricorso avverso la decisione di merito, che rigettava la richiesta dell’ente di essere ammesso al controllo giudiziario in virtù della natura stabile del rapporto tra l’ente stesso e l’organizzazione criminale, frutto di un “disegno preordinato” tale da escludere la natura occasionale del condizionamento mafioso, la pronuncia in questione si rivela conforme ad alcuni precedenti del giudice di legittimità.
In particolare, si consolida l’orientamento in tema di presupposti applicativi dell’istituto in parola con riguardo al requisito dell’occasionalità dell’agevolazione, che a sua volta si riflette sulla valutazione prognostica di ‘bonificabilità’ dell’ente attinto dalla misura, e che riveste un ruolo centrale in caso di controllo volontario. Se, infatti, nelle prime pronunce i giudici di merito e la Corte di Cassazione avevano optato per una lettura unitaria delle due forme di controllo, il trend più recente sembra spingere verso la costruzione di uno statuto autonomo del controllo giudiziario volontario, maggiormente connotato da finalità recuperatorie demandate all’adesione dell’impresa a un progetto di riorganizzazione interna. Elemento, quest’ultimo, capace di evidenziare come il controllo giudiziario persegua obiettivi analoghi a quelli del d.lgs. n. 231/2001, favorendo processi di adeguamento della compliance interna quale viatico al ritorno dell’ente nel legittimo esercizio della propria attività.
Pertanto, al fine di meglio inquadrare la decisione in commento, è opportuno guardare agli istituti menzionati all’interno di quella che è stata definita come prevenzione (patrimoniale) mite, per poi focalizzare l’attenzione sui criteri applicativi alla luce delle decisioni di legittimità passate e di quella odierna.
2. La ‘intromissione pubblica’ nell’impresa nell’ambito della c.d. prevenzione mite. L’amministrazione giudiziaria d’impresa
Con la nozione di prevenzione mite si è soliti indicare quegli istituti introdotti nel corso degli ultimi anni, in particolare con la l. n. 161/2017, all’interno del codice antimafia e con i quali è andato delineandosi il volto della prevenzione patrimoniale nei confronti dell’impresa in un senso terapeutico-riabilitativo. Si tratta di misure animate dalla volontà di ottenere, quale obiettivo primario, il recupero alla legalità dell’impresa e, come tali, capaci di relegare le misure patrimoniali classicamente ablatorie al ruolo di ultima ratio.
Il legislatore si è dunque indirizzato verso l’ampia zona grigia costituita da quelle imprese non già intrinsecamente illecite, ma sensibili al rischio di infiltrazioni mafiose o comunque capaci di agevolare, con la loro attività, tali organizzazioni criminali. Come si evince in maniera limpida dalla relazione conclusiva della commissione Fiandaca, si sono concepite misure rispettose della proprietà privata e della libertà d’iniziativa economica, nell’intento di assicurare un ripristino della legalità da parte di enti sospettati di essere coinvolti in comportamenti illeciti al fine di preservarne la continuità economica e, di riflesso, il livello occupazionale.
La riforma del 2017 ha provveduto, tra le altre cose, a ridisegnare il volto dell’amministrazione giudiziaria delle aziende e a introdurre il controllo giudiziario d’impresa. L’impianto scalare del sistema delle misure di prevenzione patrimoniale ha visto così assegnare al Tribunale della Prevenzione il compito di valutare il grado di pericolosità della situazione posta al suo esame e decidere sulla misura più opportuna da adottare. A ciò si aggiunge il nuovo istituto della prevenzione collaborativa, introdotto all’interno del codice antimafia con il d.l. n. 152/2021 e che seppur animato da analoghe finalità si caratterizza per una gestione in via amministrativa della vicenda, senza il coinvolgimento del Tribunale.
L’amministrazione giudiziaria consiste in uno spossessamento gestorio temporaneo (della durata massima di un anno e comunque nel complesso non superiore a due anni), non necessariamente esteso all’intera attività. Il Tribunale provvederà a nominare il giudice e l’amministratore giudiziario: quest’ultimo sarà incaricato di esercitare “tutte le facoltà spettanti ai titolari dei diritti sui beni e sulle aziende oggetto della misura”; inoltre, laddove si tratti di enti costituiti in forma societaria, il medesimo amministratore “può esercitare i poteri spettanti agli organi di amministrazione e agli altri organi sociali secondo le modalità stabilite dal tribunale, tenuto conto delle esigenze di prosecuzione dell’attività di impresa”. Sarà quindi opportuna un’accorta valutazione della situazione concreta, in modo da limitare l’intromissione pubblica nella gestione d’impresa alle sole aree e settori ‘contaminati’.
L’amministrazione giudiziaria ex art. 34 cod. antimafia è prevista per le ipotesi più gravi che attengono in primo luogo all’impresa “vittima” dell’organizzazione criminale, in quanto sottoposta alle condizioni di assoggettamento o intimidazione di cui all’art. 416bis c.p., nonché laddove si ritenga che l’esercizio dell’attività economica possa comunque agevolare l’attività di individui attinti da misure di prevenzione personali o patrimoniali oppure che siano imputati di particolari reati.
La condotta agevolatoria dovrà essere inquadrata in termini classicamente colposi, quale violazione delle regole prudenziali che informano l’agire d’impresa. In caso contrario, la consapevolezza di favorire l’organizzazione criminale configurerebbe un concorso o un favoreggiamento della stessa, sollecitando il ricorso al sequestro.
Al contempo, l’agevolazione dovrà caratterizzarsi per un certo grado di stabilità: qualora, infatti, essa risulti meramente occasionale, il Tribunale dovrà orientarsi verso il controllo giudiziario.
3. Il controllo giudiziario d’impresa, prescrittivo e volontario
Il controllo giudiziario realizza una forma più blanda di intromissione da parte dello Stato nella gestione dell’attività d’impresa: in tale ipotesi, infatti, il proprietario è lasciato nella libera disponibilità dei beni e l’impresa potrà andare soggetta a obblighi qualificati di comunicazione o anche alla sorveglianza di un amministratore giudiziario nominato dal Tribunale, che provvede altresì a nominare un giudice delegato.
In questo secondo caso, il Tribunale fisserà i compiti dell’amministratore giudiziario e potrà imporre all’impresa particolari obblighi, che possono sostanziarsi non solo in obblighi informativi, ma anche nell’obbligo di richiedere l’autorizzazione al giudice delegato allorché si vogliano operare cambiamenti di sede, denominazione e ragione sociale o nella composizione degli organi direttivi, oppure si voglia procedere a fusioni e scissioni, nonché nell’obbligo di adottare i modelli organizzativi di cui al d.lgs. n. 231/2001, o qualunque altra iniziativa funzionale a ridurre il rischio di infiltrazioni o condizionamenti mafiosi dell’impresa.
In questo caso vi è dunque un richiamo espresso ai modelli organizzativi, architrave del sistema di responsabilità degli enti ex d.lgs. n. 231/2001. La prassi, peraltro, dimostra come anche nel contesto dell’amministrazione giudiziaria, ancorché non vi sia alcuna indicazione legislativa in tal senso, all’attuazione di modelli organizzativi efficaci è prestata particolare attenzione (si veda ad es. il caso di Uber eats Italy).
Come accennato, l’art. 34 cod. antimafia disciplina, in realtà, due forme differenti di controllo giudiziario.
Al comma 1 si prevede che, allorquando l’agevolazione dell’organizzazione criminale sia soltanto occasionale e vi sia al contempo “il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose” idonee a condizionare l’attività d’impresa, il controllo giudiziario può essere disposto dal giudice della prevenzione. Si hanno di mira situazioni in cui non vi è un legame stabile tra il soggetto criminale e l’impresa, ma quest’ultima si pone una posizione di subalternità rispetto alla prima, così giustificandosi un alleggerimento dell’intervento pubblicistico rispetto all’amministrazione giudiziaria; al contempo, si richiede di verificare se via siano in concreto pericoli di infiltrazione o condizionamento mafioso.
Il controllo giudiziario prescrittivo rappresenta, dunque, una misura applicata su istanza pubblica e previa valutazione, da parte del giudice della prevenzione, della sussistenza dei criteri appena illustrati.
Al comma 6, invece, è disciplinato il controllo giudiziario volontario, concesso – appunto – dietro richiesta dell’impresa destinataria di un’informazione interdittiva antimafia rispetto alla quale abbia presentato ricorso.
In tal caso, l’applicazione da parte del Tribunale del controllo giudiziario, nelle forme che prevedono la nomina di un amministratore e l’individuazione di un giudice delegato, interromperà, seppure temporaneamente, gli effetti dell’interdittiva, consentendo all’impresa di proseguire nei propri rapporti economici con la Pubblica Amministrazione.
La funzione del controllo giudiziario volontario è dunque quella di neutralizzare gli effetti paralizzanti dell’interdittiva. Non a caso, tale misura è stata concessa anche laddove all’impresa sia stata negata l’iscrizione nelle white list di cui all’art. 1 co. 52 l. n. 190/2012: nonostante questa ipotesi non sia prevista dalla legge, si è rilevato come la mancata iscrizione si fondi su presupposti analoghi a quelli dell’informazione interdittiva antimafia, per quel che riguarda la sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, e le conseguenze che ne discendono siano sostanzialmente analoghi. Di conseguenza, la richiesta dell’ente di essere ammesso al controllo giudiziario volontario consentirebbe di beneficiare della sospensione degli effetti interdittivi della misura.
In dottrina si è così efficacemente segnalato come tale istituto sembri concretizzare una sorta di messa alla prova dell’ente, il quale accetta di intraprendere un processo di ristrutturazione e bonifica interni sotto la sorveglianza del pubblico potere al fine di non subire i gravi effetti derivanti dall’interdittiva antimafia.
4. I presupposti applicativi del controllo giudiziario volontario: verso uno statuto autonomo?
Le peculiari caratteristiche del controllo volontario hanno ingenerato dubbi ermeneutici sui suoi presupposti applicativi. Se, infatti, il disposto legislativo stabilisce che questo sarà adottato “ove ne ricorrano i presupposti”, all’apparenza richiamando in toto quanto previsto per il controllo prescrittivo, si è legittimamente posto in dubbio che il giudice della prevenzione dovrà accertare non solo l’occasionalità dell’agevolazione, ma anche il concreto rischio di infiltrazione mafiosa, atteso che quest’ultimo è già alla base dell’informazione interdittiva antimafia.
Il pericolo, infatti, è che si venga a creare una situazione in cui, nella propria autonomia valutativa, il giudice della prevenzione ritenga non integrato il rischio di infiltrazione, negando su tale base l’applicazione del controllo giudiziario.
Ne discenderebbe una situazione irragionevole, per cui solo l’impresa più esposta alla possibilità di un’infiltrazione potrebbe beneficiare degli effetti positivi del controllo, laddove invece l’impresa maggiormente impermeabile a siffatti rischi continuerebbe a essere esclusa dal mercato riservato alla contrattazione pubblica.
In una fase inziale, la giurisprudenza ha fornito un’interpretazione unitaria delle due tipologie di controllo, ritenendo che per entrambi andasse verificata la sussistenza dei medesimi presupposti, e arrivando a negare la misura laddove non ritenesse presente il rischio di infiltrazione mafiosa, sebbene l’ente fosse stato destinatario dell’informativa antimafia (cfr., ad es., Cass. pen., sez. V, 2 luglio 2018, n. 34526; Cass. pen., sez. II, 13 febbraio 2019, n. 18564).
In seguito (Cass. pen., sez. II, 28 gennaio 2021, n. 9122), tuttavia, si è proceduto a una lettura autonomista degli istituti, con cui si è valorizzata la funzione del controllo giudiziario volontario di strumento “di cerniera” atto a comporre «le possibili frizioni tra la giurisdizione amministrativa e la giurisdizione ordinaria» e, soprattutto, le contrapposte esigenze di tutela dell’ordine pubblico, da un lato, e di salvaguardia della libertà d’impresa e di iniziativa economica privata, dall’altro.
Concordemente, si è stabilito che il requisito relativo al rischio di infiltrazione è assorbito dal provvedimento prefettizio – rispetto al quale l’ente avrà fatto ricorso – per cui il giudice della prevenzione dovrà limitarsi ad accertare l’occasionalità dell’agevolazione.
Accanto a tale valutazione retrospettiva, sarà altresì necessario operare una valutazione prognostica circa il grado di “bonificabilità” dell’ente, acconsentendo ad applicare il controllo giudiziario soltanto laddove si ritenga che questo possa effettivamente conseguire lo scopo di disinquinamento mafioso.
Così inquadrato, l’istituto in parola esalta gli obiettivi di conservazione dell’attività d’impresa a fronte di una collaborazione attiva da parte di quest’ultima che consista anche in una riorganizzazione aziendale.
5. La decisione odierna della Corte di Cassazione
La pronuncia odierna, per quel che preme rilevare in questa sede, fa applicazione di questo orientamento più recente. I giudici, infatti, fondano la propria decisione sulla mancanza dell’occasionalità dell’agevolazione, che impedisce altresì una prognosi positiva di bonificabilità dell’impresa.
In particolare, la Corte ribadisce che ai fini dell’applicazione del controllo giudiziario su richiesta volontaria di un’impresa destinataria di informazione interdittiva antimafia impugnata dinanzi al giudice amministrativo, il Tribunale della prevenzione deve valutare “in termini prognostici – sulla base del dato patologico acquisito dall’accertamento amministrativo con l’informazione interdittiva antimafia – se il richiesto intervento di ‘bonifica aziendale’ risulti possibile, in quanto l’agevolazione dei soggetti di cui all’art. 34 co. 1 (…) debba ritenersi occasionale, escludendo tale evenienza, pertanto, nel caso di cronicità dell’infiltrazione mafiosa”.
Ne risulta, quindi, che “presupposto indefettibile” per l’applicazione della misura è la natura occasionale dell’agevolazione, “che non può configurarsi nel caso della cronicità dell’infiltrazione mafiosa”, la quale impedisce qualunque previsione positiva di disinquinamento mafioso. Infatti, prosegue la Corte, “una volta affermato il carattere non occasionale dell’agevolazione, ne risente anche l’ulteriore profilo ‘prognostico’”: sarebbe proprio il “contesto di riferimento” a impedire di “attribuire rilievo per il futuro” alle misure che pure la società attinta dalla misura adotterebbe.
La verifica del requisito dell’occasionalità, conclude la Corte, “non dev’essere finalizzata ad acquisire un dato statico, consistente nella realizzazione della realtà preesistente, ma deve essere funzionale a un giudizio circa l’emendabilità della situazione rilevata”.
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