Conclusioni al Convegno “Corporate Compliance e Responsabilità d’Impresa”
di Paola Severino,Professoressa Ordinaria di Diritto Penale,LUISS
Buon pomeriggio a tutti,
ringrazio molto l’Università Cattolica che oggi ci ospita e gli organizzatori dell’evento, in particolare i Professori Forti, Manacorda e Centonze, per avermi invitata a svolgere l’intervento conclusivo di questa importante giornata di studi, in occasione, tra l’altro, della presentazione del pregevole volume curato, appunto, dai Proff. Manacorda e Centonze.
Ringrazio anche i colleghi e gli autorevoli relatori presenti e la Prof.ssa Jennifer Arlen per il suo brillante keynote speech; tutti gli interventi credo abbiano centrato punti assolutamente centrali nel dibattito odierno sul presente e sul futuro della compliance, specie sul versante particolare della criminal compliance.
Lasciatemi sottolineare innanzitutto come i Proff. Manacorda e Centonze siano tra gli esperti studiosi più attivi nel settore della compliance e della corporate criminal liability nel settore internazionale; sono stati negli ultimi anni e sono ancora di recente i protagonisti di importantissime ricerche in questa materia, non solo rispetto ai contenuti ma anche con riferimento alle metodologie di indagine; oltre a quella che ha trovato il suo culmine nel volume che oggi viene presentato, penso, ad esempio, alla ricerca tuttora in corso sui vent’anni di vigenza del decreto 231, cui con molto piacere partecipo, con la volontà di adottare un approccio innovativo per la nostra tradizione giuridica, teso a vagliare non solo i profili dogmatici della disciplina ma anche le evidenze empiriche sull’applicazione del nostro regime di responsabilità da reato degli enti.
Il volume che oggi viene presentato credo abbia avuto diversi meriti scientifici e in particolare quello di aver ampliato lo spettro dell’indagine sul tema della compliance, coinvolgendo non soltanto ricercatori di diversa provenienza geografica, ma anche esperti di diverse discipline (dal diritto penale al diritto commerciale), nella giusta consapevolezza che il tema della prevenzione dell’illegalità nel contesto societario non possa essere affrontato se non tramite un approccio multidisciplinare. Del resto, è proprio la multidisciplinarietà che consente di cogliere il mondo complesso e variegato che oggi rappresenta la compliance, in una fluidità complessiva delle fonti tra hard e soft law, pubblico e privato, diritto penale e altre materie di confine.
Il volume e il dibattito odierno sollevano moltissimi e stimolanti interrogativi e temi di approfondimento e sarebbe per me naturalmente impossibile ripercorrerli tutti.
Cercherò pertanto di soffermarmi brevemente, nell’economia di tale intervento conclusivo e di sintesi dell’incontro odierno, su alcune specifiche tematiche – che emergono tanto dal volume curato dai Proff. Manacorda e Centonze, quanto dalla giornata di studi svoltasi oggi – che mi sembrano molto interessanti per il futuro di questa materia, la compliance penale, del resto relativamente giovane, specie nel nostro Paese, e che ancora necessità di uno sforzo teorico rilevante da parte degli studiosi per definirne al meglio confini, contenuti e prospettive.
Il primo aspetto che mi sembra particolarmente importante è la definizione del perimetro della compliance.
Perimetro oggi sempre più fluido e cangiante.
Si tratta, invero, di una materia che oggi va al di là del diritto cogente e in cui sempre maggiore importante è assunta dalla soft law, specie gli strumenti che promuovono la responsabilità sociale d’impresa, e dall’autoregolamentazione privata nella direzione di cristallizzare le best practice sedimentatesi nel settore.
Il punto, in definitiva, e mi pare che ciò sia bene emerso oggi, è che gli enti sono oggi destinatari di sempre maggiori aspettative che provengono da fonti non solo di natura e provenienza geografica differenti, ma anche in continuo mutamento, in una sempre più ricorrente osmosi tra i settori pubblico e privato. Ciò, naturalmente, stimola una grande proattività delle corporation nell’approcciarsi a tali questioni, dovendo essere confrontarsi con un panorama sempre più composito e complesso.
Il secondo aspetto che mi pare sia emerso molto bene attiene alla riflessione sui possibili limiti strutturali della scienza della compliance. È stato evidenziato, infatti, che qualsiasi regola auto-normata in una organizzazione per schermare il rischio che singoli individui agiscano illegalmente debba scontare necessariamente il fatto di non essere sorretta da regole scientifiche sicure e comprovate, nell’impossibilità, in sostanza, di prevedere in termini di certezza i comportamenti umani. Allo stesso modo, si è rilevato come spesso i compliance program fatichino a raggiungere i loro obiettivi quando si tratta, ad esempio, di impedire il reato di un CEO o comunque di un soggetto che si trova in una posizione di controllo predominante in una corporation, oppure di rafforzare gli strumenti di compliance all’interno delle piccole e medie imprese, dove la ridotta dimensione operativa rende complesso separare interessi e attività di controllori e controllati.
Si tratta, a ben vedere, di temi centrali e che investono punti cruciali della disciplina; potremmo dire, prendendo a prestito le parole del titolo molto azzeccato del libro, che essi riguardano interrogativi concernenti la stessa legitimacy e l’effectiveness di questa disciplina.
Ciascuno di questi argomenti, naturalmente, richiederebbe un intervento autonomo per poter essere anche soltanto abbozzato adeguatamente. Credo, però, che in linea generale sia possibile evidenziare come, in questa materia, sia sempre necessario tenere a mente che nessuna misura di prevenzione può assicurare il c.d. “rischio-zero”; darci, cioè, la sicura certezza che alcuna condotta illecita si verificherà nel contesto di una determinata organizzazione.
Al contrario, il risultato cui una buona compliance dovrebbe tendere è quello di una ragionevole minimizzazione del rischio di commissione di condotte illecite, riconducendolo entro un margine di tollerabilità per l’ordinamento e stimolando il più possibile la diffusione di una cultura della prevenzione e dell’etica di impresa nei contesti societari.
Questo, in sostanza, è ciò che possiamo ragionevolmente attenderci da una buona compliance; il volume e il dibattito odierno credo abbiamo ben stimolato questa riflessione.
L’altro aspetto, poi, oggi assolutamente centrale nel dibattito, è quello della compliance nei gruppi multinazionali, che rappresentano i destinatari principali e i punti di riferimento essenziali nella prassi applicativa di tale disciplina.
Ci troviamo, infatti, di fronte ad operatori che operano in più Paesi, articolando e diversificando i propri processi produttivi in più ordinamenti, con singole imprese che, pur collocate geograficamente in realtà differenti, agiscono di regola sulla base di un disegno unitario di business – e modelli e policy preventive – definiti dalla capo-gruppo.
Enti, quindi, che operano come “armonizzatori di fatto” delle regole nel contesto internazionale, naturalmente anche sul versante preventivo, ma che ramificano le loro attività in legislazioni che, per così dire, “non si parlano tra loro”, sono spesso molto differenti e non sono disponibili a rinunciare alle loro prerogative e potestà punitive.
Le corporation, quindi, si trovano davanti a un panorama complesso, operando contemporaneamente in Paesi che reclamano nei loro confronti differenti aspettative regolatorie, e che possono attivarsi simultaneamente per punire lo stesso fatto illecito, in assenza di un generalizzato riconoscimento internazionale del principio del ne bis in idem.
Ciò, naturalmente, da un lato, aumenta gli oneri di compliance (specie sul versante finanziario e organizzativo) di questi operatori, che devono costantemente procedere ad attività di due diligence per comparare e valutare gli standard diversi richiesti dai vari ordinamenti in cui operano; dall’altro, comporta il rischio, rispetto a un medesimo e unico fatto illecito, di una indebita moltiplicazioni di procedimenti e sanzioni nei confronti della persona giuridica, che rimane priva, sul punto, di efficaci rimedi da attivare nel contesto internazionale.
Su questi aspetti, dunque, sarà necessario soffermarsi ampiamente nella futura riflessione scientifica ma anche nel confronto istituzionale tra decisori pubblici, avendo il fondamentale obiettivo di stimolare la cooperazione multilaterale tra le varie agenzie di enforcement e cercare di creare il più possibile un ambiente normativo stabile e armonizzato per gli operatori economici internazionali.
Il volume e l’odierna giornata di studi, naturalmente, potrebbero stimolare tantissime altre riflessioni, avuto riguardo, tra l’altro, all’importanza sempre maggiore del digitale e delle nuove tecnologie nel settore della compliance, al rilievo del settore dell’anticorruzione nell’evoluzione e nella sempre maggiore diffusione di una consapevolezza collettiva su questa materia.
Nell’impossibilità, naturalmente, anche solo di sfiorare tutti questi temi, vorrei soffermarmi soltanto, avviandomi alle conclusioni, su un ultimo aspetto che è stato ben rilevato anche nel volume e che riguarda la sempre maggiore diffusione di strumenti e meccanismi di enforcement basati sul concetto della mandatory compliance. L’idea, cioè, di puntare in sempre più settori di disciplina sullo sviluppo di modelli sanzionatori che puniscano di per sé il mancato adempimento di obblighi preventivi posti in capo all’ente, a prescindere dal verificarsi di reati e fatti illeciti in conseguenza della lacuna organizzativa.
Una idea, quindi, che si allontana dal tradizionale concetto di compliance volontaria ma incentivata, ove l’adempimento organizzativo costituisce un onere per l’ente che voglia avvalersi dei vari effetti positivi che la legge ricollega alla predisposizione di un buon modello di controllo interno preventivo.
Un tema, quindi, che solleva interrogativi più ampi e da approfondire rispetto all’identificazione dei modelli di enforcement più efficaci per responsabilizzare le persone giuridiche e coinvolgerle in questa sempre più importante partnership pubblico-privato nella lotta alla criminalità.
Sono sicura che questa giornata di studi e il volume che oggi viene presentato contribuiranno a stimolare ancora importanti, ulteriori riflessioni, sia in letteratura, sia nei decisori pubblici, chiamati nei prossimi anni a scelte e decisioni molto importanti per il nostro futuro.
Vi ringrazio molto.