Patteggiamento dell’ente e confisca: un chiarimento dalla Cassazione

di Marco Colacurci, Ricercatore di  Diritto penale

 

 

 

Con una recente sentenza, la n. 18652 del 7 aprile 2022, la Sesta Sezione della Corte di Cassazione è intervenuta in merito all’applicabilità della confisca qualora tale sanzione non sia stata concordata nell’ambito di un procedimento di applicazione su richiesta delle parti.

 

Come noto, l’art. 63 del Decreto 231 fa riferimento soltanto alle sanzioni pecuniarie e a quelle interdittive, nulla dicendo, invece, con riguardo alla confisca. Così, in una vicenda in cui l’ente aveva raggiunto l’intesa con il pubblico ministero per l’irrogazione della sola sanzione pecuniaria, la successiva applicazione della misura ablatoria da parte del giudice penale veniva appunto contestata mediante ricorso in Cassazione. In particolare, la difesa lamentava che, non essendo stato disposto il sequestro ai fini di confisca, l’ente non era nelle condizioni di conoscere l’entità della sanzione che sarebbe stata applicata, la quale era stata pertanto determinata in modo arbitrario.

 

Nel rigettare il ricorso, il giudice nomofilattico opera degli importanti chiarimenti in merito alla natura obbligatoria della confisca all’ente nonché ai mezzi di impugnazione a disposizione di questi laddove tale sanzione sia appunto comminata nell’ambito di un procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti.

 

Anzitutto la Corte ribadisce, in linea con un orientamento di legittimità consolidato (cfr. Cass. pen., Sez. II, sent. n. 20046/2011; Sez. VI, sent. n. 35802/2008), che seppure non menzionata dall’art. 63 d.lgs. n. 231/2001, in caso di condanna dell’ente la confisca è obbligatoria ai sensi dell’art. 19 del medesimo decreto. Pertanto, essa andrà irrogata anche qualora non abbia formato oggetto del previo accordo, essendo del tutto prevedibile per l’ente coinvolto la sua applicazione.

 

Ciò chiarito, si delineano due diversi scenari rispetto all’eventuale sindacato di legittimità della Corte di Cassazione, attesi i limiti che caratterizzano il ricorso davanti alla Suprema Corte in caso di patteggiamento.

 

Laddove la misura in questione sia stata oggetto dell’accordo tra le parti, l’unico rimedio processuale esperibile sarà quello rappresentato dall’art. 448 co. 2 bis c.p.p., dunque “solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza”.

 

Nel caso in cui, invece, la confisca non abbia costituito oggetto dell’accordo, la tutela sarà maggiore, per cui troverà applicazione la norma generale di cui all’art. 606 co. 1 c.p.p., che offre, come espressamente riconosciuto dalla Corte, “un rimedio rispetto ad eventuali indebite, come tali imprevedibili, compromissioni dei diritti, seppur a contenuto patrimoniale, dell’imputato”.

Simile statuizione viene a fondarsi su un precedente giurisprudenziale delle Sezioni Unite della medesima Corte che, con riferimento all’applicazione di misure di sicurezza non oggetto dell’accordo alla base del patteggiamento, aveva ammesso il ricorso per vizio di motivazione (sent. n. 21368/2019).

L’argomento espresso dal supremo collegio nella più autorevole composizione è stato dunque ribadito con riguardo alla confisca, anche – e a maggior ragione – laddove la stessa, come accade ai sensi dell’art. 19 d.lgs. n. 231/2001, sia qualificata come pena.

 

 

 

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