La Cassazione sulla diversità tra colpa di organizzazione e colpevolezza del reo
di Mario Iannuzziello, Dottore di Ricerca in Diritto penale
La Corte di Cassazione, IV Sezione Penale, con la sentenza n. 18413 del 2022, è tornata sulla differenza tra la colpa di organizzazione e la colpevolezza della persona fisica per il reato presupposto.
La vicenda processuale nel merito…
I fatti di causa afferiscono all’illecito amministrativo di cui all’art. 25septies co. 3 d.lgs. n. 231/01 e, pertanto, al reato di lesioni personali aggravate dalla violazione delle norme antinfortunistiche. Nel merito è stata riconosciuta la responsabilità dell’ente per aver consentito il realizzarsi del reato presupposto commesso nel suo interesse, mediante la mancata adozione di un modello di organizzazione e gestione insieme all’assenza di un organismo di vigilanza che verificasse la conformità dei macchinari industriali alle norme in tema di sicurezza sul lavoro.
Nello specifico, la Corte di Appello ha riscontrato che al tempus commissi delicti (2011) l’apparecchiatura con cui lavorava la vittima era priva di un dispositivo di spegnimento automatico, che è stato installato solo successivamente. L’interesse dell’ente è stato rinvenuto nella mancata rivalutazione del rischio connesso all’utilizzo del macchinario e della sua adeguatezza agli standard di sicurezza poiché privo di dispositivi di bloccaggio atti ad evitare eventi del tipo di quello verificatosi, ma anche nell’assenza di un modello organizzativo in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Ricorre in Cassazione la difesa dell’ente: censura tanto la violazione di legge quanto il vizio di motivazione poiché la vittima conosceva le procedure da seguire, essendo esperta della lavorazione e formata anche sui casi di avaria della macchina e sui rischi connessi alla produzione.
Infatti, la lesione personale è occorsa in violazione di tali procedure: la persona offesa, agendo d’istinto, ha spostato con la mano il foglio senza fermare la macchina per non rallentare la lavorazione. Ciononostante, i giudici di merito non hanno riconosciuto l’interruzione del nesso causale tra reato presupposto e illecito amministrativo e non hanno motivato sulle ragioni per cui l’ente debba rispondere anche delle condotte istintuali della vittima. Inoltre, la difesa rileva una contraddizione laddove la Corte di Appello addebita all’ente la mancata rivalutazione dell’adeguatezza agli standard di sicurezza del macchinario (acquistato nel 2001) e al contempo da atto che nel 2008 lo stesso macchinario era stato verificato da un organismo di certificazione e che nel 2009 era stato sottoposto nuovamente a verifica da un tecnico specializzato.
Si appalesa, quindi, una contraddizione intrinseca tra gli investimenti fatti dall’ente in sicurezza e l’interesse, derivato dalla mancata adozione del modello di organizzazione e quindi dal conseguente risparmio di spesa per formare i lavoratori alle procedure ivi da prevedere, e una mancata motivazione in ordine al collegamento finalistico tra violazione delle norme antinfortunistiche e interesse dell’ente.
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, annulla la sentenza e rinvia per un nuovo giudizio di appello.
…e in Cassazione
Nella fase di merito, l’illecito di cui all’art. 25septies co. 3 d.lgs. n. 231/01 è stato addebitato all’ente per “aver ‘reso possibile’ il verificarsi del detto reato, in quanto commesso nel suo interesse, stante l’assenza di un modello organizzativo avente ad oggetto la sicurezza sul lavoro, ed in particolare l’assenza di un organo di vigilanza preposto alla verifica dei sistemi di sicurezza delle macchine operatrici” (§2 del Considerato in diritto).
L’assenza del modello di cui agli artt. 6 e 7 d.lgs. n. 231/01 viene, dunque, riconosciuta di per sé sufficiente a integrare la responsabilità da reato dell’ente e, nello specifico, a configurare la colpa di organizzazione.
Invero, come ribadisce la Corte di Cassazione in questa sentenza e in linea con quanto già affermato dalle Sezioni Unite Penali con la sentenza n. 38343/14, la struttura della responsabilità delle persone giuridiche derivante da illecito penale richiede da un lato la commissione di un reato presupposto ricompreso tra quelli di cui agli artt. 24 e ss. d.lgs. n. 231/01 e dall’altro – ex art. 5 d.lgs. n. 231/01 – l’interesse (da valutare ex ante) o il vantaggio (da apprezzare ex post) per l’ente stesso.
La commissione del reato presupposto, infatti, è il punto focale della responsabilità 231 da cui si dirama la relazione funzionale tra reo ed ente e la relazione teleologica tra reato ed ente così da escludere l’addebito quando il fatto è posto in essere per fini diversi da quelli previsti dall’art. 5 d.lgs. n. 231/01 (cfr., Cass. Pen., IV Sez., sent. n. 32899/21).
Se ciò rende ‘proprio’ dell’ente il fatto commesso nel suo interesse o vantaggio non è ancora sufficiente per considerare tale fatto ‘colpevole’ poiché è da accertare la colpa di organizzazione cioè la mancata predisposizione di quell’“insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato; […] nel senso che vanno individuati precisi canali che colleghino teleologicamente l’azione dell’uno all’interesse dell’altro e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell’ente, che rendono autonoma la responsabilità del medesimo” (così, Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 27735/10).
La mancanza del modello di organizzazione e gestione, la sua inidoneità o inefficacia – come vorrebbe il merito censurato – non è, infatti, un elemento della tipicità dell’illecito 231, ma “una circostanza atta ex lege a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione” (§3 del Considerato in diritto), che non può darsi per presunta, ma è dovere dell’accusa dimostrare e diritto dell’ente contestare.
Affiora, quindi, una concezione che potrebbe definirsi analitica e gradualistica dell’illecito dell’ente, composto dalla relazione funzionale tra reo ed ente e teleologica tra reato ed ente (la c.d. immedesimazione organica rafforzata), la colpa di organizzazione, il reato presupposto e il nesso causale tra i due illeciti.
Così ricostruiti i caratteri essenziali della responsabilità degli enti da reato, la Corte di Cassazione rileva le “perplessità” (§ 4 del Considerato in diritto) sul modo in cui l’impresa è stata riconosciuta colpevole: infatti, l’illecito di cui all’art. 25septies è stato addebitato in ragione dell’assenza di un modello organizzativo, senza stabilire in cosa si sia concretizzata la colpa di organizzazione, ma ricavandola dalla colpevolezza degli autori del reato presupposto. Costoro, infatti, sono stati riconosciuti responsabili del reato di lesioni personali aggravate per violazione delle norme in tema di sicurezza sul lavoro nella loro qualità di datori di lavoro e non in quanto apicali che hanno commesso il fatto nell’interesse o vantaggio dell’ente.
La sentenza ricorsa, dunque, sovrappone e confonde questi due distinti profili di responsabilità tanto da figurare una tautologia tra la commissione del reato presupposto e dell’illecito 231, fondata “sull’accertata mancanza del modello organizzativo e sul conseguente risparmio di spesa quale tempo lavorativo da dedicare alla sua predisposizione ed attuazione richiamando, genericamente, ulteriori voci di (possibile) risparmio di spesa” (§ 6 del Considerato in diritto). Inoltre, la contraddizione che emerge tra l’asserita mancanza di rivalutazione del rischio e i controlli dei certificatori sul macchinario falsifica la ricostruzione dello stesso Giudice di Appello.
L’assenza di un modello di organizzazione non è elemento costitutivo dell’illecito amministrativo contestato: pertanto, è necessario fornire la prova della colpa di organizzazione, che è stata obliterata. Inoltre, la qualifica di datore di lavoro e di amministratore dell’ente, che nel caso scrutinato collimano, è estranea alla nozione di colpa di organizzazione, che “costituisce, per così dire, un modo di essere ‘colposo’, specificamente individuato, proprio dell’organizzazione dell’ente, che abbia consentito al soggetto (persona fisica) organico all’ente di commettere il reato”. (§ 6 del Considerato in diritto). Pertanto, nel solco tracciato dalla sentenza n. 38343/14 della Cassazione, quella relazione teleologica che lega reato ed ente deve esprimere un assetto organizzativo negligente dell’impresa così da fondare verso quest’ultima il rimprovero per la mancata osservanza di un obbligo normativo volto a prevenire la commissione di reati idonei a fondare la responsabilità 231.
Pertanto, è la carenza di organizzazione a legittimare l’imputazione soggettiva dell’illecito 231 all’ente e a giustificarne il rimprovero.
Tutto ciò considerato, la Suprema Corte censura il mancato accertamento della colpa di organizzazione e l’incidenza causale che ha avuto per la commissione del reato presupposto, sottolinea come l’interpretazione del giudice di merito dell’art. 25sepities sia “affetta da evidenti errori di diritto” (§7 del Considerato in diritto) in quanto si basa sul solo accertamento del reato presupposto e del rapporto di immedesimazione organica. Inoltre, censura l’attribuzione all’organismo di vigilanza di compiti altri da quelli previsti dall’art. 6 d.lgs. n. 231/01, quale la supervisione della gestione della sicurezza sul lavoro, che, invece, attiene al datore di lavoro.
Osservazioni conclusive
La diversità tra colpa di organizzazione e colpevolezza dell’autore del reato presupposto (cfr., § 6 del Considerato in diritto) si inserisce in un solco che necessita ancora di essere arato per riconoscere l’autonomia della responsabilità da reato dell’ente e superare quell’automatismo che imputa il fatto della persona fisica a quella giuridica, disconoscendone le peculiarità.
E questa sentenza si inserisce in questo solco.
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